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Chiaramonti, Carnevale dell’altro ieri PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 23 Febbraio 2022 19:25

di Carlo Patatu

D

alla notte di San Silvestro e fino all’inizio della Quaresima, al “Fontana” si sospendevano le proiezioni cinematografiche per lasciare spazio ai balli di carnevale.  Per un paio di mesi, su cinema si trasformava in soziu[i].

Anche in questo caso, il sabato e la domenica. Nella cabina di proiezione, l’operatore, invece che manovrare la macchina di proiezione, metteva i dischi, allora a 78 giri. Di canzoni e musiche ballabili, accompagnate da un fruscio fastidioso prodotto dalla puntina metallica, sovente usurata. In genere si susseguivano alternativamente due lenti (tango, beguine, slow) e uno allegro (mazurka, valzer, polca, foxtrot, paso doble). Fra un ballo e l’altro, un intervallo breve, per consentire ai cavalieri d’invitare al buffet le dame, prima di riaccompagnarle là dove le attendevano madri occhiute o sorelle maggiori zitelle e arcigne. Cui, in assenza di un servizio di guardaroba, era demandato anche il compito di custodire sciarpe, cappotti, ombrelli e quant’altro poteva essere d’impiccio nel ballo.

Non appena l’altoparlante emetteva il fruscio che annunciava la musica, i giovani si fiondavano là dove stavano le donne. Per invitarle alla danza. Con l’inchino di prammatica. Era anche d’uso prenotarlo in anticipo, il ballo, se la ragazza prescelta era graziosa o ballava particolarmente bene e, pertanto, molto gettonata.

Coma’, a lu faghìmus cùstu bàllu?”[ii].

“Mi dispiàghede, compa’, ma so’ impignàda pro àteros dùos. A su ‘e tres happ’a ballàre cun bòis. Cun piaghère!”[iii].

“Bène mèda; ma ammentadebònde!”[iv].

Ed ecco che le dame, fra l’altro, dovevano tenere a mente tutta una successione d’impegni assunti: il prossimo con Mario, quello successivo con Giovannino, poi con Giuliano e così via. Guai a sbagliare. Potevano nascerne dissapori che, talvolta, degeneravano pure in risse. Che il gestore della sala si affrettava a sedare, prima che intervenissero i carabinieri a sospendere il veglione. Fatta eccezione per i fidanzati ufficialmente, a ciascuna coppia non era consentito di scendere in pista per due o più balli consecutivi. E cioè ballare a coppia fissa. Non stava scritto da nessuna parte; ma questa era la regola, cui non era permesso di derogare. Sempre che non si volessero sfidare sfacciatamente le malelingue, sempre in agguato con critiche acide e pettegolezzi persino infamanti.

Un’altra prassi balorda voleva che le ragazze, in su sòziu, non rifiutassero l’invito a ballare rivolto dai cavalieri. I quali si arrogavano il diritto di danzare con tutte. Volenti o nolenti. La parità di genere, o tra sessi che dir si voglia, ancora non aveva fatto capolino nel nostro orizzonte. Talvolta, per togliersi di torno un damerino sgradito, l’interessata se ne liberava dicendogli di avere già impegnato quel ballo. Al che il maschietto respinto non mancava di accertarsi che fosse vero. E se scopriva che la donna non partecipava a quel turno di danze perché, in realtà, nessuno l’aveva invitata, apriti cielo! L’offeso non faceva a meno di rinfacciarle apertamente lo sgarbo. Creando malumori e tensioni che chiamavano in causa fratelli o cugini; e che potevano degenerare, guastando così il clima solitamente festoso delle serate. Ricordo che, in qualche circostanza, le mie sorelle e le amiche più care, per trarsi d’impiccio da situazioni imbarazzanti, mi chiamavano in soccorso, chiedendomi pressantemente di ballare con loro. Avevano appena rifiutato l’invito di un corteggiatore, insistente quanto antipatico, dicendogli di essere impegnate. Il che, invece, non era vero. E a me toccava di stare al gioco. Roba da non credere!

Se le donne partecipavano al veglione cun sa caràzza[v], e cioè col volto mascherato, dovevano essere obbligatoriamente accompagnate da su cantadòre[vi]. In tale condizione, esse godevano il privilegio di scegliersi il cavaliere a piacimento. Rifiutando, anche platealmente, gli inviti rivolti dalle persone non gradite. In breve, la maschera conferiva anche alle donne autonomia di scelta, libertà di azione e d’iniziativa. Finalmente potevano giocare alla pari con l’uomo. Il che, se iscarazzàdas[vii], non si sognavano nemmeno di pensare. In ogni caso, c’è da dire che, com’è sempre accaduto, quei balli, castigati solo in apparenza, offrivano occasioni ghiotte per esprimere sentimenti amorosi e concordare incontri segreti, finalizzati a godere di quell’intimità che i ragazzi d’oggi (beati loro!) possono manifestare liberamente alla luce del sole. Ovunque e senza patemi d’animo. Pertanto, nella stagione dei balli nascevano molte relazioni sentimentali, più spesso passeggere. Quegli incontri segreti (si fa per dire) producevano pure qualche gravidanza fuori programma. Con corollario di scandali e chiacchiericci porta a porta. L’uso degli anticoncezionali non faceva parte delle nostre abitudini.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta in poi le cose cambiarono in modo repentino e radicale. Niente fu più come prima. Le musiche ritmate di Modugno, l’irrompere del rock, twist e cha cha cha, le canzoni di Mina, Celentano e Lucio Battisti; ma soprattutto i Beatles, gli Equipe 84, I Nomadi e la televisione ci diedero una mano a spalancare le finestre di casa, per spingere lo sguardo fuori le mura di questo villaggio anglonese, piccolo e sonnacchioso. A mandare definitivamente in soffitta talune consuetudini stravaganti contribuì in larga misura l’ampliamento della platea degli studenti che frequentavano la città. Ma fu notevole il contributo dei molti amici emigrati che, tornando in paese per le vacanze, ci mettevano a parte dell’emancipazione conquistata lavorando all’estero. Quella ventata di aria nuova portò con sé anche sgradevolezze; ma, tutto sommato, lo shock che ne seguì fu salutare. Muffe antiche e stratificate, polveri e ragnatele secolari furono spazzate via come d’incanto. O quasi. Di quella stagione, infatti continuavano a permanere delle tracce. Che, nonostante tutto, resistono ancora e tardano a scomparire, ahinoi!

All’occorrenza, la sala del cinema fungeva pure da teatro. Un palco rudimentale e privo di quinte bastava e avanzava a soddisfare le aspettative degli spettatori, per nulla esigenti. Ebbero modo di calcare le tavole sconnesse di quel palcoscenico prestigiatori e illusionisti di mezza tacca, compagnie teatrali scalcagnate che rappresentavano commedie strappalacrime e complessi musicali non proprio di prim’ordine.

Fecero epoca, invece, i veglioni organizzati durante la stagione carnevalesca, che, come ho detto prima, aveva inizio la notte di Capodanno e si concludeva il Martedì Grasso. Si era sparsa la voce che le serate danzanti chiaramontesi fossero particolarmente animate, eleganti, raffinate e spassose. Il che, per quanto ne ricordo, era vero. Io vi partecipavo immancabilmente, indossando un completo blu scuro e il papillon. Tant’è che erano sempre più numerosi i forestieri che affollavano la nostra sala da ballo, facendo una concorrenza spietata alla fauna maschile locale. Che mostrava di non gradire i giovani ospiti, sempre ben vestiti, galanti oltre misura e dai modi solitamente affettati. Da tali concorrenti ci si difendeva come si poteva, ricorrendo persino a qualche maniera forte. Ma, col passare del tempo, ci facemmo l’abitudine. Imparammo anche noi ad andare “a caccia” nei paesi del circondario, patendo e subendo, in alcune circostanze, il trattamento ruvido che, da queste parti, eravamo soliti riservare a chi veniva da fuori. Imparammo a nostre spese che, per giocare in trasferta sereni e con qualche possibilità di successo, era di grande aiuto poter contare sulla protezione di qualche conoscente in loco. Ciò facilitava l’integrazione nel nuovo ambiente, allargando così la cerchia delle amicizie. Fu grazie ad alcuni cari amici che, in breve tempo, a Ploaghe, Perfugas e Nulvi io mi sentivo di casa. E, come me, tanti altri.

 

Cfr. CARLO PATATU, Il paese che non c’è più, ed. Grafiche EsseGi, Perfugas 2016, pagg. 214-218.



[i] Il cinema e la sala da ballo

[ii] Comare, mi concedete questo ballo?

[iii] Mi spiace, compare; ma sono impegnata per i prossimi due. Al terzo ballerò con voi. Con piacere.

[iv] Molto bene! Ma tenetelo a mente.

[v] Sa carazza, la maschera.

[vi] Alla lettera, il cantatore. Costui aveva il compito di vigilare che le mascherine non fossero importunate oltre misura dai soliti curiosi che giocavano a indovinare quale volto si celasse sotto il travestimento.

[vii] A viso scoperto, senza maschera.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 23 Febbraio 2022 19:30
 

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