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Bullismo, un secco "no" al silenzio! PDF Stampa E-mail
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Venerdì 27 Aprile 2018 00:00

Spronare le vittime dei soprusi a parlarne in Famiglia e a Scuola. Per arginare i bulli di oggi e perché non si alimentino nuove forme di violenza

di Carlo Patatu

Si fa un gran parlare, di questi tempi, di violenze a scuola. Verso i compagni di classe e persino contro i docenti. Finalmente la problematica inerente al bullismo e al cyberbullismo pare avere richiamato l'attenzione della comunità e di chi ci governa.

Fin da quando ero in servizio a Scuola e presso il Tribunale per i Minorenni, mi sono occupato della questione. Pertanto propongo all'attenzione dei lettori un mio articolo sull'argomento pubblicato sulla rivista Lionismo, anno XLIV n. 1 - Settembre-Ottobre 2017, a pagina16.

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Il bullismo si manifesta già fra i banchi di scuola. Di quella Primaria intendo dire. E fin dai primi anni. Ma il fenomeno è sottovalutato, perché lo si ascrive sovente a bambinate o ragazzate, a seconda dell’età dei protagonisti. Stiamo attenti a non confonderlo coi normali conflitti fra coetanei. Non è così.

Ma allora, cos’è il bullismo?

È il desiderio deliberato di fare del male ai propri pari, d’impaurirli, di esercitare su di loro un qualsivoglia genere di prepotenze. Sul piano fisico o su quello psichico. Si manifesta con estorsioni, ricatti, insulti, scherno, minacce, furti, maltrattamenti e percosse. Con una particolarità: c’è spesso un’asimmetria nella relazione: la vittima ha difficoltà a difendersi. Perché fisicamente o caratterialmente debole, oppure in situazione di handicap.

I teatri più frequenti delle violenze sono la scuola, la strada, gli impianti sportivi. Segnatamente là dove c’è competizione. E poi c’è quel che si vede su internet e che va sotto il nome di cyberbullismo. Che si realizza con la pubblicazione di foto e filmati imbarazzanti, corredati da commenti sarcastici e offensivi a carico della vittima di turno. Insomma, squallidi pestaggi virtuali verso perseguitati inermi. Studi e ricerche condotti nel settore, ci dicono che chi oggi è bullo domani sarà violento: in famiglia, nel lavoro, in società.

Ecco perché occorre considerare che le sfide più impegnative dei nostri ragazzi non sono le interrogazioni scolastiche o gli esami, né i risultati nell’attività sportiva; bensì l’intreccio di relazioni con gli insegnanti e con i compagni di classe e di giochi. Se la crescita di un bambino si compie in un clima di rispetto, il processo formativo si svolge con segno positivo, altrimenti le variabili possono essere diverse e imprevedibili.

In Svezia, dove il fenomeno del bullismo è stato scoperto e studiato prima che altrove, dicono no al silenzio. Stimolando le vittime di violenze a parlarne in casa, a scuola o con persone di cui si fidano, hanno ridotto il fenomeno del 50% in appena due anni.

Le cose andrebbero meglio se Scuola e Famiglia si parlassero alla pari, nel rispetto dei rispettivi ruoli. Invece interagiscono in un clima di diffidenza se non di conflittualità. Scolari e studenti stanno in mezzo, a subire il disagio che ne deriva. Come nelle liti fra coniugi.

I bulli ci sono sempre stati, si dice. Ma oggi è diverso. Sul versante educativo, siamo passati dal vecchio modello etico-normativo, incentrato su regole e sanzioni, a un modello che privilegia le relazioni interpersonali. In sintesi, quello del bullismo non è un problema governabile in termini autoritari.

Riflettiamoci sopra e facciamo qualcosa in proposito. Tutti, nessuno escluso.

 

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