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I ploaghesi amano Giovanni Spano? PDF Stampa E-mail
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Sabato 28 Ottobre 2017 00:00

L’illustre personaggio, al quale il suo paese natio ha dedicato la via più importante e lo ha onorato con convegni e pubblicazioni, non pare avere conquistato il cuore dei compaesani

di Carlo Patatu

Quanto ha scritto, nei giorni scorsi, Claudio Coda sul canonico ploaghese Giovanni Spano mi ha richiamato alla memoria alcune questioni di cui mi sono già occupato in passato su queste pagine e che mi pare utile riprendere.

Nei primi anni Settanta del Novecento (ero allora segretario della Direzione del Circolo Didattico di Ploaghe), il Comune provvide a collocare una lapide nel corridoio del caseggiato scolastico di via Salis, accanto alla bella scultura che ritrae il Canonico, opera del Sartorio[1]. La lapide, se mal non ricordo, celebrava il primo Centenario della morte dell’illustre ploaghese. Contemporaneamente, lo stesso Comune, d’accordo con la Scuola, intitolò a Giovanni Spano le Elementari.

Dalla fine degli anni Ottanta, di quel circolo didattico fui dirigente scolastico titolare fino al 2000. Ricordo ancora che, durante tale periodo, sollecitai più volte i docenti a tenere in maggiore considerazione lo Spano. Che, così pareva a me, non era molto amato dai suoi compaesani. In particolare riuscii a convincere alcuni insegnanti a far fare ai bambini di quinta una piccola ricerca su quell’uomo straordinario, con riguardo particolare alla sua casa natale, che andammo più volte a visitare a Palovilde (così i locali chiamano la piazza Valverde nella quale confluisce la via Minerva)[2].

A lavoro finito, inoltrammo una richiesta al Comune, che nemmeno si prese la briga di rispondere, volta a rilevare la proprietà di quella casa-monumento per farne una sorta di museo dedicato allo Spano. Parallelamente, e qui l’iniziativa ebbe successo, proposi al Collegio dei Docenti e al Consiglio di Circolo d’intitolare a Giovanni Spano il circolo didattico. Che, a seguito di apposito decreto ministeriale, fino al 2002 si fregiò di quel nome prestigioso.

Successivamente (io, nel frattempo, ero andato in pensione) furono accorpate scuole materna, elementare e media di Ploaghe in un unico istituto comprensivo, che prese l’intitolazione della sola scuola media, dedicata a un altro ploaghese illustre (ma non quanto lo Spano): Antonio Fais.

Nel corso dell’esecuzione dei lavori di risistemazione dei locali del caseggiato delle elementari, negli anni 2002/03 il bel busto marmoreo dello Spano, opera di Giuseppe Sartorio, fu rimosso dalla posizione centrale che gli era stata destinata in origine e fu relegato in fondo allo stesso corridoio, sulla sinistra per chi entra. Quasi in castigo.

Della cosa, pur essendo ormai collocato a riposo, ebbi modo di lamentarmi con alcuni docenti ploaghesi e con lo stesso dirigente che mi aveva sostituito; ma anche col sindaco del tempo (una signora di cui ora mi sfugge il nome). Da costoro ebbi risposte superficiali, molto vaghe e per niente esaustive.

È un fatto che i ploaghesi, continuo (sbagliando forse) a pensarla così, non amano lo Spano, che pure donò alla parrocchia di Ploaghe la propria preziosa pinacoteca e parte della ricca biblioteca. I suoi compaesani, nel passato remoto, intitolarono a suo nome il corso lunghissimo che da Cortile ‘e Cheja (piazza san Pietro) attraversa l’intero abitato e finisce alla stazione ferroviaria. Inoltre altri passi importanti sono stati fatti, negli ultimi anni, in favore dello studioso ploaghese, promuovendo pubblicazioni e convegni.

Una tale posizione dei suoi conterranei è forse dovuta, lo affermo arbitrariamente senza averne riscontri documentali, a certo atteggiamento un po’ spocchioso che, durante i suoi brevi ma ricorrenti soggiorni nel paese natio, l’illustre senatore manifestava verso i ploaghesi. Che pure non perdevano occasione per esprimergli rispetto e riverenza, incontrandolo per strada.

Si racconta che fosse solito trascorrere parte del pomeriggio nella lettura del breviario, passeggiando sulla sommità dell’imponente scalinata di marmo antistante l’ingresso della chiesa parrocchiale, con vista sulla piazza circostante e su parte del corso che successivamente sarebbe stato intitolato a suo nome. I passanti non mancavano di ossequiarlo, togliendosi rispettosamente sa berritta. Orbene, in una di tali circostanze, un suo coetaneo, dopo averlo salutato con deferenza, gli disse in tono scherzoso:

Su calo’, semus fedales, ma vostè est conchi ispilidu. Deo, invece, sos pilos los gitto ancora tottu cantos[3].

Al che lo Spano, rivolgendogli un’occhiata fulminante, rispose con accento acrimonioso:

Ammentadi chi s’ultimu logu inue ispilidi s’ainu est propriu sa conca!”[4].

Lascio immaginare a chi legge come ci rimase il povero bifolco. Che, senza volerlo, aveva osato offendere Su Calonigu[5] rivolgendogli una battuta ritenuta del tutto innocente. E tale era, credo.



[1] Giuseppe Sartorio (Boccioleto, 1854 – Mar Tirreno, 20 settembre 1922) è stato un celebre scultore. Studiò a Varallo Sesia e all'Accademia Albertina di Torino, infine frequentò l'Accademia nazionale di San Luca a Roma. Lavorò a Torino, a Roma e soprattutto in Sardegna, aprendo diversi laboratori e botteghe. Avvalendosi di ottimi allievi ed esperte maestranze operaie, poté soddisfare le commissioni che riceveva da ogni parte d'Italia. Scomparve misteriosamente nella notte tra il 19 e il 20 settembre 1922, durante la traversata sul piroscafo “Tocra” da Olbia a Civitavecchia. Furono vagliate tre possibili piste d'indagine: disgrazia, suicidio o omicidio a scopo di rapina, ma, essendo tutte plausibili, solo dopo oltre venti anni fu dichiarata la morte presunta. Fu autore, fra l’altro, della statua di Vittorio Emanuele II che troneggia al centro della piazza d’Italia a Sassari e di alcuni busti marmorei collocati in altrettante tombe del nostro cimitero.

[2] Di ciò si è occupato, qualche tempo fa, Paolo Pulina, ploaghese trapiantato in provincia di Pavia, giornalista e scrittore. Vedasi al riguardo http://www.patatu.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2174:la-tribuna-pasqua-triste-per-la-casa-di-giovanni-spano-&catid=35:la-tribuna&Itemid=79

[3] Signor canonico, siamo coetanei, ma voi siete completamente calvo, mentre io i capelli li conservo ancora tutti.

[4] Tieni a mente che l’ultimo punto in cui l’asino perde il pelo è proprio la testa.

[5] Il canonico.

Ultimo aggiornamento Sabato 28 Ottobre 2017 12:47
 
Commenti (1)
Sa passéntzia de su theologu Iuànne Ispànu
1 Sabato 28 Ottobre 2017 09:17
c.coda

Il busto dello Spano, prima dell'agosto del 1930 era collocato, quasi abbandonato, in una sala del Municipio.


Quando ai primi dell'agosto del medesimo anno venne nominato Commissario Prefettizio -il camerata Giovanni Maria Dore- dispose, nell'immediato, il "trasferimento" dell'effige presso i locali delle Scuole Elementari.


La cronaca del tempo la raccontava così: "...l'effige del nostro illustre concittadino, emerita figura di studioso che ha illustrato la Sardegna e l'Italia tutta, orgoglio di Ploaghe, che gli ha dato i natali, sarà così sempre presente agli occhi ed allo spirito dei nostri piccoli scolari, che impareranno a vieppiù onoralo ed imitarlo".


Insomma, questo busto spostato...da una parte all'altra: passéntzia meda, devet haer custu theòlogu !

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