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Giovedì 23 Giugno 2016 08:43

La vecchia consuetudine del comparatico, saltando attraverso i fuochi alla vigilia della festa di San Giovanni

di Carlo Patatu

Nella giornata di domani (24 Giugno), il calendario liturgico riporta la festa di San Giovanni Battista.

Chi ha la mia età (ma anche chi ha qualche anno di meno) ricorda che, la sera della vigilia, in passato le strade del paese erano insolitamente animate da un via vai di giovani e ravvivate da grandi falò (sos fogarònes). Ragazzi e ragazze saltavano in coppia per tre volte di seguito attraverso le fiamme, tenendosi stretti per mano e scandendo ad alta voce: compàres e comàres de sàntu Juànne[1].

Era una consuetudine molto praticata, allora. Quella ricorrenza era attesa dai giovani con trepidazione.

Si sa che i padrini e le madrine di battesimo o di cresima divengono rispettivamente compàres e comàres dei genitori del battezzato o del cresimato. Che assume così la dignità di figlioccio. Nel tal caso, siamo in presenza di compàres e comàres de òzu sàntu[2]. Quando, cioè, vi è di mezzo il vincolo sacramentale benedetto solennemente in chiesa da un ministro del culto e suggellato con la santa unzione. Quel vincolo impegnava (impegna) i contraenti alla stregua di un legame parentale profondo. Nella buona e nella cattiva sorte.

È risaputo pure che, nella nostra cultura, era considerato disdicevole (oggi non lo è quasi più) ogni tradimento al patto matrimoniale. Sia in pensieri che in atti. Ciononostante, mariti e mogli, con o senza patemi d’animo, continuavano (continuano) a violare sesto e nono comandamento. Infischiandosi altamente delle male lingue e della bufera che, voltando e percotendo, li molesta i dannati del secondo cerchio che, nell’Inferno dantesco, accoglie i lussuriosi[3].

Ma tali comportamenti erano ritenuti ancor più riprovevoli se vi erano coinvolti compàres e comàres de òzu sàntu. In tal caso la riprovazione popolare per quella condotta assumeva gravità particolare con biasimo adeguato. Tuttavia, poiché a ogni cosa c’è rimedio (fuorché alla morte, si dice), quando l’attrazione fra compare e comare era irresistibile, talmente impetuosa da far premio sulla rigorosa etica consuetudinaria, per cancellare o, quanto meno, attenuare l’immoralità dell’atto fedifrago era sufficiente pònnere ùnu pe’ sùbra una fòsciga. E cioè tenere un piede ben saldo su un paio di forbici.

Non importava il modello. Né la misura. Così facendo, si riteneva che restasse pur sempre la colpa ordinaria, ma evaporasse quel surplus di incestuoso dovuto al vincolo sacro, direi quasi parentale, che legava i due amanti abusivi. S’òzu sàntu, appunto. Come diavolo fosse possibile dar corso compiutamente a certe attività da camera da letto tenendo un piede sulle forbici è cosa che mai sono riuscito a spiegarmi. Né alcuno, probabilmente per ragioni di riserbo, è stato in grado di raccontarlo. Sono propenso a credere che nessuno l’abbia mai messa in pratica quella stramberia. Caricandosi così sia degli oneri peccaminosi ordinari che di quelli supplementari. D’altronde, il cerchio dei lussuriosi era già affollato fin dai tempi di Dante…

Tornando al salto attraverso le fiamme de su fogaròne, c’è da dire che questa consuetudine altro non era che un rituale volto a rafforzare i vincoli dell’amicizia. Naturalmente non ci si “faceva” compari o comari con chiunque. La scelta era ponderata (per quel che poteva valere la ponderazione di un adolescente). Insomma, alla base dovevano esserci già sentimenti robusti di stima reciproca, una frequentazione assidua, la condivisione di un qualcosa che rendeva gradevole lo stare insieme. In breve, un’intesa non comune. Ecco perché brincàre su fogaròne[4] era una sorta di sigillo posto a suggello di un sentimento importante qual è l’amicizia. Dunque, su fogaròne quasi un sacramento.

Aggiungo che l’usanza dei fuochi di San Giovanni (dalle mie parti pressoché scomparsa) un tempo aveva radici profonde ed era molto diffusa nei paesi dell’area mediterranea. Fin dalla notte dei tempi. In concomitanza col solstizio d’estate, si praticava l’usuale raccolta di erbe particolari, da utilizzare, nel corso dell’anno, in operazioni di magia e rituali propiziatori. E proprio nella serata della vigilia si accendevano i falò per bruciare le erbe raccolte l’anno precedente e non ancora consumate, ma ormai rinsecchite. Il cambio di direzione del sole nel suo percorso celeste dopo il solstizio di Giugno era considerato un momento magico. Ecco perché il salto del fuoco lo si riteneva di buon augurio per la realizzazione dei tanti sogni e delle fantasie, anche bizzarre, di noi ragazzi.

Come in tutte le celebrazioni pagane poi cristianizzate, anche il rito del fuoco era legato al ciclo della vita dell’uomo e allo scorrere delle stagioni. Molto praticato nella società agro-pastorale che, in passato, modulava le scansioni del lavoro sul calendario liturgico. A Chiaramonti era consuetudine che, per San Giovanni, si procedesse alla conta degli agnelli d'allevamento, prima di dividerli fra proprietari e soccidari. Come pure era d’uso fissare nel giorno di quella festa la scadenza dei contratti annuali d’affitto degli alloggi.

Vi era pure un altro modo, meno solenne ma ugualmente valido, per “farsi” compàres e comàres. Questa volta non più de fogaròne, bensì de muccalorèddhu[5]. Quando situazioni particolari lo richiedevano, come la presenza temporanea di ospiti; oppure se il desiderio di legare l’amicizia col rito del comparatico si manifestava tanto travolgente da non sopportare l’attesa della data fatidica, si sostituiva il triplo salto attraverso su fogaròne con il legare e sciogliere nodi a due dei quattro angoli di un comune fazzoletto da tasca. I contraenti stringevano rispettivamente un nodo ad altrettanti angoli contrapposti del fazzoletto. Ciascuno, poi, provvedeva a sciogliere il nodo appena legato dall’amico. E così per tre volte di seguito, pronunciando la frase rituale compàres e comàres de muccalorèddhu[6].

In realtà, così ci pareva, i salti attraverso su fogaròne avevano una valenza maggiore, una solennità rituale di ben più grande rilevanza. Anche perché la funzione si svolgeva in un contesto particolare, unico; oltre che sotto l’alta protezione del Santo. Tuttavia, tenuto conto delle circostanze, il ricorso al fazzoletto andava ugualmente bene. Lo scopo lo si conseguiva comunque. E poi lo si poteva praticare in qualunque giorno dell’anno.

Oggi, per chi ha varcato la soglia dei cinquanta, resta soltanto il bel ricordo de su fogaròne, dei salti innocenti e festosi di ragazzi e ragazze, che suggellavano così un’amicizia profonda e duratura. Io ho il piacere di contare ancora tanti compàres e comàres de fogaròne e de muccalorèddhu (taluni non ci sono più, purtroppo!). Ebbene, la loro amicizia e il loro affetto non sono venuti meno. E neanche da parte mia.

 

 

Tratto da un mio libro di prossima pubblicazione intitolato 'Il paese che non c’è più'.

 


[1] Compari e comari di san Giovanni.

[2] Alla lettera, compari e comari di olio santo; e cioè in virtù di un sacramento (battesimo o cresima).

[3] Cfr. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia - Inferno, canto V.

[4] Saltare attraverso il falò.

[5] Fazzoletto da tasca.

[6] Compari e comari di fazzoletto.

Ultimo aggiornamento Giovedì 23 Giugno 2016 11:34
 

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