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Brani pittorici in Órria Pithìnna PDF Stampa E-mail
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Lunedì 15 Dicembre 2014 00:54

di Claudio Coda

Ancora alcune curiosità della chiesa di Santa Maria Maddalena (sec XII). Per loro, tuttavia, parleranno più le immagini che le descrizioni, che sono povere per mancanza di riferimenti verificabili de visu. Da qui spazio alle foto, perché la storia, comunque sia, va raccontata.

In origine, le pareti interne della chiesetta, erano ricoperte da intonaci con localizzate pitture murali. Queste oramai scomparse nel tempo a causa dell'umidità prodotta dal tetto pericolante e privato di interventi sanatori, magari da decine e decine d'anni o, forse, qualche secolo.

Già nel 1909, Giorgio Falchi (filantropo chiaramontese) così si lamentava nei suoi diari:

...diverse chiese di stile pisano, esistenti nell'agro di questo comune, caddero in rovina per colpa ed incuria abituale del nostro clero e degli amministratori dei beni posseduti da tali enti morali. Così, pure nel presente, per indolenza dell'amministrazione comunale, minacciano rovina le chiese del Carmine, di S. Giuseppe, nonché per incuria dei parroci, quelle di vS. Maria de Aidos, di S. Giovanni, di Santa Maria Maddalena, di Santa Giusta...”.[1] [1]

In effetti, nel passato, a Chiaramonti erano ben ventiquattro le chiese. Non poche.

Oggi quelle aperte al culto sono otto, le altre proprio scomparse. Nessuna testimonianza di queste, se non alcune tracce riconoscibili da ammassi di pietrame o da blocchi squadrati, in trachite scura e calcare, utilizzati pro mùros a sìccu a perimetrazione de sas tàncas.

Nel 1973, l'Amministrazione Comunale ne sollecitava, alla Soprintendenza, un intervento che si rivelò positivo solamente nel 1976 con la concessione di un contributo regionale di 14.625.000 lire.

Appena sufficienti per i primi interventi di consolidamento dell'edificio, così da attendere il 1988 per la riapertura alle funzioni di culto.

Al momento del restauro della struttura interna, rinvenute porzioni pittoriche di piccolo formato, in particolare nelle pareti del transetto a sinistra dell'altare, nel catino absidale e nell'arco dello stesso.

Difficile la lettura del linguaggio grafo-pittorico ma, da quel poco che si è riusciti ad individuare, prevalgono le forme geometrizzanti e manifatture riconducibile all'arte pisana del XII secolo che nel nord Sardegna si imponeva: cerchi concentrici, triangoli disposti a raggiera all'interno. I colori predominanti vanno dal rosso pompeiano, giallo ocra, verde scuro o forse blu. L'umidità ne aveva compromesso le tonalità.

Sempre nel catino absidale si è trovata debole traccia di fattezze di un Cristo Maestà o Benedicente, all'interno di una mandorla come lo si può vedere, e nella stessa posizione, nella Basilica della SS. Trinità di Saccargia.

Lì, Cristo in Maestà in collocazione centrale e, più sotto, i dodici Apostoli.

A Saccargia infatti, sotto la mandorla in cui è rappresentato il Cristo, sono presenti gli stessi motivi concentrici, con i triangoli a cornice interna della circonferenza. Per analogia stilistica e temporale si può ipotizzare che le raffigurazioni possano essere simili e magari della stessa mano (!).

Non intendo paragonarli, ma collocarli in un preciso periodo storico.

Certificata l'impossibilità di restauro sul posto, questi brani pittorici si è deciso di asportarli in un'unica soluzione.

Lo staccamento dei pezzi, curati dall'architetto Giorgio Lambrocco e dalla restauratrice Letizia Pieraccini, il 28 luglio 1976[2], sono stati trasportati nei laboratori della Soprintendenza di Sassari e posti in una calotta di legno della stessa misura del catino di provenienza.

La sagoma venne eseguita dal restauratore Giovanni Pintus dopo rilievi metrici del disegnatore prof. Antonio Corradduzza e, nel dicembre 1981, il collocamento nel supporto ligneo. Nel 1988 si provò a proseguire con un nuovo tentativo di recupero dell'affresco, ma rimase solo un progetto.

Per proporre un esempio: ad Ardara, nella Basilica di S. Maria del Regno (consacrata nel 1107), pannelli del '500 e '600, rappresentati Apostoli e Dottori della Chiesa, dopo attenti restauri, sono stati ricollocati nelle colonne della navata centrale.

Questi brani pittorici rimangono un raro esempio, in quanto raramente le colonne venivano istoriate. Comunque sono lì al loro posto.

Da chiarire: ben altra concezione e classificazione pittorica rispetto a quelli pitturati a Santa Maria Maddalena.

Però: di quei frammenti pittorici, i chiaramontesi, potrebbero chiedere conto, tanto in un locale d'accumulo saranno e nessuno li potrà mai vedere.

Avessimo uno spazio utile (perché no !: nel salone del vecchio edificio de Casèrma... quando questo sarà disponibile) avrebbero fatto bella mostra di sé e magari, ogni tanto, una capatina a visitarli, seppure di frammenti parliamo.

Anche questi, a vario titolo, fanno parte di una storia tutta chiaramontese.



[1] Cfr. CARLO PATATU, Chiaramonti – Le cronache di Giorgio Falchi, ed. Studium adp, Sassari 2004.

[2] Cfr. MARCO MILANESE (a cura di), Quaderni dei Villaggi Abbandonati della Sardegna, Collana 3, ed. All'Insegna del Giglio s.a.s.

 

Le foto sono dell'autore, che ringraziamo.

Ultimo aggiornamento Lunedì 15 Dicembre 2014 01:12
 

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