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Sabato 10 Maggio 2014 08:50 |
Omelie noiose, preti a lezione di Claudio Coda
“...il vero sacrificio della Messa è l'omelia, basta con queste omelie interminabili e noiose, nelle quali non si capisce nulla!”.
È partita l'interessante autocritica dagli “addetti ai lavori”. Così: omelie noiose?, via i preti a lezione! Insomma, abbiamo sempre detto: predica bene e razzola male. Ora azzardo all'inverso: razzola bene e predica male.
Di seguito propongo, in virgolettato, pari pari come sono state espresse alcuni interventi, non sia mai qualcuno immagini fantasiose ricostruzioni non corrispondenti al vero.
Sfiorare alcune argomentazioni è stato sempre pericoloso. Al mio paese. Quando qualcuno lo ha fatto, forse è stato miracolato, ma questo stato lo vedrà post mortem.
D'interesse davvero il tema, perché la critica non arriva da quelli che sostano nella navata e stanno a testa all'insù, ma proprio da chi sta su nel prestigioso pulpito. Ed è la CEI che corre ai ripari, tant'è il progetto avanzato in 5 diocesi: Torino, Vicenza, Taranto, Siracusa e Cagliari.
I primi a smuovere le acque-sante, in terra sarda e correre ai ripari, l'Arcidiocesi di Cagliari con il “Progetto Omelìa” che richiama la Evangelii Gaudium del Papa.
I predicatori hanno riconosciuto, facendo autocritica, che “...sono molti i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie”.
Opus suscipere da subito, quindi, dove i sacerdoti saranno monitorati e sentiti dagli osservatori che segneranno, con la matita blu, i punti deboli dei loro sermoni.
Per intanto, proprio per alleviare “il vero sacrificio della Messa” (ipse dixit), quanto deve durare un sermone?
Secondo don Trudu (coordinatore regionale del progetto della Cei e docente di liturgia nella pontificia facoltà Teologica della Sardegna) la durata media dovrebbe essere di circa 7 minuti. Così ripartita: 1 minuto e mezzo per l'introduzione, che dovrà essere trascinante; 4 minuti per l'organizzazione dei contenuti, che sia coerente; nel restante ultimo minuto, la conclusione.
Suggerisce pure un metodo: mai iniziare con uno sviamento che nulla ha a che fare con l'omelia. Si deve leggere da subito, senza rivolgere lo sguardo all'assemblea. Quest'ultima parte, però, non l'ho capita. Tre fasi dunque per strutturare l'omelia: introduzione, corpo centrale e conclusione.
Sempre papa Francesco suggerisce: “...un predicatore che non si prepara non è spirituale, è disordinato e irresponsabile verso i doni che ha ricevuto”.
Ma già tesi aristoteliche indicavano le qualità di un buon oratore: ⁃ exordium - intercettare l'uditorio; ⁃ narratio: esposizione dei fatti, catturando l'attenzione in un discorso vivace e non noioso; ⁃ argumentatio: dimostrare delle prove a sostegno delle tesi e commuovere per far si che aderisca alla tesi dell'oratore; ⁃ peroratio: epilogo conclusivo; ⁃ actio: declamazione del discorso modulando la voce e ricorrendo alla gestualità.
Aggiungo che l'ex segretario generale dei vescovi Mariano Crociata definiva certe prediche “poltiglia melensa e cibo poco nutriente”.
Contro le omelie complesse anche il cardinale Silvano Piovanelli: “...i nostri discorsi sembrano fatti in teologhese. Le parole passano sopra le teste senza entrare nella vita, penetrano nelle orecchie senza toccare il cuore”.
Sempre monsignor Morfino: “...alla radice di questo malvezzo mi pare ci sia un fraintendimento di fondo: il tempo dedicato allo studio sarebbe sottratto alla gente e alla vita parrocchiale. È il perfetto contrario. Le opere passano nel proprio studio come addizione e non come sottrazione”.
Stiamo a vedere!
Di mio aggiungo un ricordo, anzi due.
Negli anni '90, capitai nel Duomo di Milano durante la celebrazione di una messa. Era appena iniziata e officiava il cardinale Carlo Maria Martini, grande personalità della Chiesa Cattolica. In circa trenta minuti celebrò messa, compresa l'omelia, come solo lui sapeva proporre.
L'altro ricordo a Pompei, dove un amico sacerdote celebrò in 16 minuti. Mi riferì, dopo e tutto pomposo: ho il record!
E nella nostra Parrocchia?
Non facciamo in tempo neanche ad apprezzare i sermoni, che il pulpito subisce un vero turn over, come nella Pubblica Amministrazione. Negli ultimissimi anni (forse 3), un frenetico spoil system. Ben quattro!, e non è finita. L'ultimo, insediato appena due o tre mesi, rimarrà alla San Matteo per altro rapido passaggio. Sua l'affermazione, non aggiungo altro, tanto meno le motivazioni.
Ma qualche disorientamento su queste “toccate e fughe” dal presbiterio, nell'arco di così breve tempo, lo creerà senz'altro. Ma anche una curiosa domanda: nel pulpito della San Matteo, cosa succede? Una cosa è certa: non sono le prediche!
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