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Chiaramonti ieri: le serenate - 1a parte PDF Stampa E-mail
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Scritto da Carlo Patatu   
Domenica 11 Maggio 2008 13:56

Per ragioni anagrafiche, conobbi la stagione, per me felice, delle serenate che i giovani facevano alle ragazze cantando sotto i loro balconi. Feci appena in tempo a farne esperienza come attore e come spettatore, perché quella consuetudine romantica fu interrotta di colpo. Le proteste assillanti di un prete e la complicità di un maresciallo dei carabinieri troppo lesto ad accoglierle, misero la parola fine a una tradizione antica, la cui origine si perdeva nella notte dei tempi. Un’usanza molto diffusa sia in Sardegna che nella Penisola; ma che a Chiaramonti fu condannata a morte, prima che altrove, negli anni Cinquanta. Aveva il torto, quella consuetudine, d’infastidire il parroco. Ma pure taluni benpensanti; pochi ma influenti. Che avversavano, e non se ne comprendeva il perché, quella variante straordinaria dei corteggiamenti amorosi.

In previsione di una uscita, i giovani si davano appuntamento nei giorni di Sabato. O di vigilia festiva. Solitamente nella tarda serata e presso un magazzino o una cantina. Ciascuno dei partecipanti portava con sé un po' di vettovaglie. Quello che riusciva a procurarsi: pane, formaggio, lardo, salsicce, verdura. Non doveva mancare qualche fiasco di vino. Preferibilmente rosso. Tutta roba che, manco a dirlo, veniva sottratta alle preziose provviste familiari. Sempre di nascosto e non senza avere architettato sotterfugi di ogni genere, per eludere la vigilanza occhiuta delle nostre madri. Le quali, molto severe e leste a menare le mani, mal sopportavano che quegli scavezzacolli dei figli alleggerissero le pur capaci cassepanche di legno, prelevando tre o quattro spianate per volta. La provvista del pane, di solito, doveva soddisfare il consumo familiare per la durata di un paio di settimane.

Il pane lo si produceva in famiglia. Ogni quindici giorni. Per la lavorazione manuale della pasta si faceva affidamento sull'aiuto scambievole dei vicini di casa. Nel rispetto di una forma ormai consolidata di mutualità, ci si prestava reciprocamente anche qualche spianata, se le scorte della cassapanca si erano esaurite prima del solito. Talvolta accadeva che, in presenza d'imprevisti, le pile di pane poddine e di fresa, già riposte e ordinate con cura nella cassapanca, si riducessero a vista d'occhio; per scendere anzitempo a quota zero.

Quella specie di partita a banditi e carabinieri, giocata tra madri e figli negli anni della mia adolescenza per portare fuori di casa un po' di provviste, vedeva vincitori più spesso questi e soccombenti quelle. Che pertanto dovevano rassegnarsi. Non c'era niente da fare per prevenire quegli episodi ingenui ma determinati di pirateria domestica. E siccome la necessità aguzza l'ingegno, i trucchi posti in atto dai ragazzi erano pressoché infiniti. Il risultato finale era sempre scontato: in un modo o nell'altro, lo spuntino che precedeva lo svolgersi delle serenate s'aveva da fare. Per trascorrere la serata in allegria, innanzitutto. Ma anche per concordare il programma e fare qualche prova, prima di andare in giro per le strade del paese a suonare e cantare. Sempre tirando a far tardi. Il menù, come si può intuire, era vario e talvolta insoddisfacente. In qualche circostanza, era insufficiente il pane; in altre il companatico. Oppure il fiasco del vino si prosciugava anzitempo. Ciò poteva dipendere dall'umore o dall'appetito; oppure da ciò che i convitati erano riusciti ad arraffare in casa propria. Costretti com'erano a operare in fretta e con destrezza, per non essere scoperti.

Nel corso di quelle allegre riunioni conviviali si definiva nei particolari il programma della serata, decidendo anche sotto quali finestre o balconi si doveva cantare. E non tralasciando di fissare ordini e priorità delle stazioni, lungo il percorso da compiere. Era opportuno, ma in taluni casi era persino d'obbligo, considerare le abitudini dei familiari delle destinatarie dell'omaggio canoro. Affinché le cose potessero andare a buon fine, era preferibile (sempre) che i genitori delle ragazze prescelte fossero già a letto, bell'e addormentati. Meglio ancora se non si accorgevano di nulla. Le signorinette, che gradivano molto sentirsi al centro di tanta attenzione, si sforzavano di resistere alle lusinghe del sonno e se ne stavano in trepida attesa. E se talvolta babbo e mamma le costringevano ad andare a dormire di buon'ora, esse facevano di tutto per vincere il sonno e non addormentarsi. Aspettavano di sentir filtrare dalla finestra il rumore discreto dei passi furtivi, seguito poi dai primi accordi della chitarra galeotta.

In genere i canti appassionati, che a notte alta si diffondevano discreti sotto le finestre di casa, non provocavano reazioni negative nei familiari delle ragazze. A meno che la compagnia di giro non si fosse abbandonata a schiamazzi, invece che eseguire canzoni melodiose. Il che, talvolta, poteva anche accadere se, nel corso dello spuntino, i giovani avevano dato fondo al fiasco del vino e brindato con generosità maggiore del dovuto. Per farla breve: se, mangiando di meno, essi avevano bevuto di più. La frequenza delle serenate dedicate con insistenza e in successione al medesimo indirizzo la diceva lunga sul gradimento che le presenze femminili in quella famiglia incontravano presso la fauna maschile del paese. Le ragioni che sottendevano tanta predilezione potevano essere ricondotte alla grazia, alla bellezza, alla simpatia di quelle giovinette; ma poteva esserci dell'altro. Pertanto anche i genitori più brontoloni e retrivi finivano col rassegnarsi, accettando, sia pure malvolentieri, di essere svegliati dalla compagnia di giro dei musicanti notturni. Ma c'era pure chi non ne voleva sapere di canti e melodie; e non gradiva di essere disturbato durante il riposo notturno. In realtà, più che il disturbo, tante volte era la gelosia morbosa a mettere di malumore costoro. Che non riuscivano a darsi pace all'idea che le proprie figlie fossero fatte oggetti di desideri, anche inconfessabili, da parte di qualche bellimbusto. Magari sfaticato e senza un mestiere. Da qui l'esigenza, fortemente sentita, di proteggere quelle che, a dispetto delle belle forme del corpo e dell'età, essi continuavano a considerare le loro bambine. Anche quando queste avevano smesso di esserlo da un pezzo.

(Fine dalla 1a parte. Fra qualche giorno, pubblicheremo la seconda e ultima parte)

Da: Carlo Patatu, Scuola, Chiesa e Fantasmi, ed. Gallizzi, Sassari 2007

Le foto mostrano alcuni scorci del paese e una visione notturna da Sa Pigadorza

Ultimo aggiornamento Martedì 01 Dicembre 2009 16:21
 

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