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Quando il vento accendeva le lampadine a Elighìa PDF Stampa E-mail
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Giovedì 29 Agosto 2013 22:48

Accadde negli anni Cinquanta del Novecento, grazie all’idea di un operaio geniale: mio padre

di Carlo Patatu

Il primo impianto eolico per la produzione di energia elettrica a Chiaramonti comparve in un casolare di Sassu Altu, negli anni Cinquanta del Novecento. A idearlo e realizzarlo fu mio padre Giovanni.

Com’è noto a tutti, da tempo immemorabile l’uomo mette a frutto l’energia prodotta dal vento. Per navigare e azionare macchine di vario genere. Da queste parti, Eolo soffia senza risparmiarsi. A riprova di ciò, dall’altopiano di Codina Rasa si affacciano ancora sul centro abitato i ruderi di un antico mulino. Che, grazie al vento, permise ai nostri avi di macinare grano a volontà e produrre farina per i consumi familiari. Probabilmente sino alla fine dell’Ottocento.

Quand’ero bambino, i contadini, collocando in cima agli alberi da frutta lunghi bastoni con eliche di legno tanto rudimentali quanto rumorose, sfruttavano il vento per tenere lontani corvi, cornacchie e altri volatili voraci. Che vanificavano l’opera e le aspettative dei proprietari di quei modesti frutteti, sussidio importante, talvolta unico, dell’economia domestica.

Ma di trasformare l’energia eolica in corrente elettrica non si parlava proprio. Allora. Almeno dalle nostre parti. La cosa di certo riguardava altre plaghe. Anche lontane da noi. Ma qui se ne sapeva poco o niente. E chi ne aveva qualche nozione non aveva modo di parlarne. Non essendo oggetto usuale di conversazione, sull’argomento era pure difficile trovare interlocutori.

L’energia elettrica prodotta dalla centrale del Coghinas (diga di Muzzone, Oschiri) arrivò in paese nella seconda metà degli anni Venti del Novecento. Ma solo nel centro abitato. In campagna, la gente continuava a servirsi di lampade rudimentali che bruciavano soprattutto olio sego e spandevano un odore sgradevole. Quelle a petrolio e le candele steariche rappresentavano un lusso riservato a pochi. Pertanto erano l’alba e il tramonto del sole a dare il buongiorno e la buonanotte alla gente di campagna. Ma anche a gran parte di chi viveva in paese. In assenza di radio, televisione e cinema, le giornate, specie d’inverno, si chiudevano con la cena. Da consumarsi preferibilmente prima che il carro solare sparisse dietro i monti di Osilo.

C’è da dire che mio padre (classe 1908) non ancora quattordicenne fu assunto come apprendista dall’impresa che realizzò la prima rete elettrica a Chiaramonti per conto della ditta locale Budroni & Rottigni. A lavori ultimati, da questa stessa ditta quel giovane intraprendente e volenteroso ebbe l’incarico di gestire gli impianti elettrici pubblici e privati del paese, oltre che il mulino e il frantoio per le olive. Giovanni Patatu aveva allora 19 anni. Non era ancora maggiorenne.

La sua giornata di lavoro superava le dodici ore, sette giorni su sette e per dodici mesi l’anno. Di riposo settimanale e ferie nemmeno si parlava. Uniche feste riconosciute, e da lui godute in famiglia, sono state il Natale, Pasqua e Pasquetta, Ferragosto e la festa del patrono San Matteo (21 Settembre).

Il salario era magro; ma, sottolineava lui, sicuro. I suoi datori di lavoro lo trattavano come uno di famiglia e lui ricambiava con gli interessi, mostrando attaccamento al dovere con l'occhio attento al bene della ditta. Il sodalizio durò oltre trent’anni e s’interruppe solo quanto Budroni & Rottigni decisero di vendere l’azienda elettrica alla SES (Società Elettrica Sarda), che poi la dovette cedere al neonato Enel, figlio dell’intervenuta nazionalizzazione.

Uno dei soci della ditta, Mario Rottigni, era proprietario, insieme ai fratelli Sergio, Tore e Pina, di una fattoria in regione Elighìa, a una decina di chilometri dall’abitato. Essendo la zona di Sassu Altu all'epoca priva di strade degne di tale nome, si poteva raggiungerla a piedi, a cavallo, o in carro a buoi. I pastori che la gestivano, i fratelli Fiori di Pattada, ci vivevano stabilmente. I proprietari ci andavano di frequente con amici e, talvolta, vi trascorrevano anche la notte. Condividendo con i pastori i disagi connessi all’assenza di luce elettrica e di acqua corrente.

Fu così che a mio padre venne l’idea di dare corpo a un impianto eolico rudimentale da installare in quel casolare. Si consultò con l’amico meccanico Battista Falchi; insieme costruirono un’elica di grandezza adeguata; quindi la collegarono a una grossa dinamo smontata da un motore diesel fuori uso. L’elica e il rotore furono collocati sul tetto della casa colonica e poi collegati con cavi elettrici a una serie di batterie, ugualmente ricavate da autoveicoli fuori uso.

Mio padre stese all’interno dell’abitazione una rete di fili elettrici che facevano capo a portalampade, interruttori e prese di corrente. Un click e, per la prima volta, una lampadina elettrica si accese in una casa di campagna a Chiaramonti. Correvano gli anni Cinquanta. In seguito, i fratelli Fiori comprarono un televisore a batteria. Da quel momento, il loro stile di vita cambiò. Radicalmente.

Inutile ribadire che si trattava di un impianto realizzato alla buona, lesto ad andare in tilt se il vento, come di solito faceva e fa, soffiava impetuoso. Ma mio padre, con la pazienza e la competenza che lo connotavano, riusciva a rimettere ogni cosa a posto.

Quella macchina primitiva fece il proprio dovere fino alla metà degli anni Settanta. E cioè fino a quando l’Enel, grazie alle pressioni del Comune, portò la luce elettrica in tutte le case di Su Sassu.

A me resta il rammarico di non avere chiesto al signor Mario Rottigni di cedermi quella macchina originale. Finita chissà dive e che oggi avrei potuto mostrare con orgoglio a mio figlio Vladimiro (che è ingegnere elettronico) e ai miei nipoti Giovanni e Carla. Nel ricordo di mio padre, persona geniale che, dall’alto della sua licenza elementare, era un uomo moderno a tutto tondo, avendo lo sguardo e la mente sempre rivolti al futuro.

Ultimo aggiornamento Venerdì 30 Agosto 2013 08:50
 

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