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Santa Giusta ieri PDF Stampa E-mail
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Scritto da Carlo Patatu   
Venerdì 02 Maggio 2008 15:20

La festa di Santa Giusta cade la domenica successiva all'Ascensione. Ma noi chiaramontesi, da sempre, facciamo 'più festa' il Sabato. Per noi è un po' la festa della Primavera. Soprattutto lo era in passato, quando ci si recava a piedi o a cavallo, percorrendo in allegria sentieri e carrarecce disagevoli. Il tratto più difficile, specie al rientro, era Sa Pigada 'e edras. Una sorta di sentiero ripido, incassato fra due sponde di calcare e ricoperto da siepi e querce quanto bastava per percorrerlo a piedi; o, tutt'al più, scomodamente seduti sul basto di un asino paziente. In sella a un cavallo, in quella specie di galleria arborea, non si poteva accedere.

Giunti in quel luogo ameno che è la conca di Santa Giusta e messe al riparo le provviste per una ricca colazione al sacco, si dava libero sfogo ai giochi di gruppo: altalena, salto con la corda e tene-tene (acchiapparella); ma anche al ballo sardo, sul ritmo di una fisarmonica. Che, manco a dirlo, spuntava subito da qualche parte. A mezzogiorno, tutti alla ricerca di un angolo ombroso, di un fazzoletto di verde su cui stendere una tovaglia e per poi adagiarvi ogni ben di Dio: spianate e tundos saporiti, salsicce profumate, formaggio piccante, ricotta mustia affumicata, pancetta, olive, vino rosso. Il tutto prodotto rigorosamente in casa. L'acqua, fresca e abbondante, era lì a due passi.

Il dopo pranzo vedeva i ragazzi più spesso impegnati in giochi di società, o di gruppo che dir si vogliano. Con l'irrogazione delle immancabili penitenze (si fa per dire!) a carico di chi non aveva imbroccato la risposta giusta a una domanda malandrina. Era, questo, uno dei tanti espedienti ingenui per stampare un bacio innocente sulle gote arrossate di una bella ragazza. Cose da ridere, al giorno d'oggi.

Nel pomeriggio, era d’obbligo assistere in chiesa alla celebrazione dei vespri solenni. Il parroco, che in mattinata celebrava la messa, si tratteneva a pranzo ospite de s'Eremitanu; e cioè del custode. Perché c'era un custode, che abitava in due stanzette addossate alla chiesa sul lato destro e che ora non ci sono più. Concluso il rito vespertino, gruppi di fedeli si trattenevano ancora davanti all'altare, per cantare in sardo sos gosos de Santa Giusta (In Sardigna ses naschida / in sa famosa Arborea / dae zente non plebea tue rezisti sa vida... per concludere poi con ...difende su regnu sardu, santa Giusta gloriosa). Si cantava un po' per fede e molto per il piacere che dava unirsi al coro in un canto dolce, melodioso e malinconico allo stesso tempo.

Il rientro in paese, a sera, era sempre festoso e interrotto da soste frequenti. Per altri giochi o per visite ai casolari, allora abitati, disseminati lungo il percorso. Le ragazze dovevano essere a casa immancabilmente prima del tramonto. Ma altri gruppi di allegroni e festaioli amavano attardarsi sul sagrato. Talvolta fino a notte fonda, discorrendo di stramberie e cantando a boghe piena fino a quando c'era una briciola di pane e una fetta di salsiccia; e non si era prosciugato il fiasco (s’impagliada) di vino portato al seguito.

La domenica mattina, messa solenne. Cantata e col panegirico. Ma ad assistervi erano per lo più forestieri: soprattutto nulvesi, ploaghesi, martesi. I pochi chiaramontesi presenti erano, in genere, legati a un voto; da sciogliere preferibilmente riportando in paese, a piedi o a cavallo, enormi bandiere con l'effigie della santa e abbondantemente infiocchettate. Ogni anno un fiocco, per ricordare sa prommissa. Finita la messa, i cavalieri chiaramontesi s’incamminavano sulla strada del rientro e giungevano in paese verso mezzogiorno, passando per Spurulò e percorrendo la strada statale, non ancora asfaltata. Giunti a Su Domaniu, lanciavano i cavalli al galoppo sfrenato, in una sorta di gara a chi arrivava primo davanti alla casa parrocchiale. Non c’era alcun premio da vincere: bastava e avanzava la soddisfazione di aver surclassato i concorrenti. La gente si assiepava ai lati di quello che oggi è il viale Brigata Sassari, per assistere a quella galoppata straordinaria e festeggiare il vincitore. I fantini non sempre erano di prim'ordine e le cavalcature, sempre madide di sudore, sbavavano schiuma in abbondanza. E con ragione, povere bestie: avevano già percorso a passo spedito circa cinque chilometri. Per tutti i presenti, cavalieri e pubblico, quello era un appuntamento molto eccitante.

Come contorno, niente corteo di macchine: il simulacro di santa Giusta restava in campagna. Niente festeggiamenti 'civili'. Niente poetes o cantadores, nè orchestrine e balli in piazza. Immancabili la bancarella di tiu Pazola, torronaio sennorese di origine trapiantato a Ploaghe, e la postazione del tiro a segno scalcagnato di tiu Antoni Boe, ploaghese anch'esso. In fin dei conti, il tutto si riduceva a una bella, indimenticabile scampagnata. Ma era tanto bello così.

 

Le foto sono degli anni Quaranta del Novecento. La prima ritrae la processione che riporta il simulacro della santa nella chiesetta campestre, al termine di una processione estemporanea per propiziare la pioggia in una stagione di siccità; la seconda, l'arrivo dei cavalieri in paese, nel giorno di Domenica

Ultimo aggiornamento Martedì 01 Dicembre 2009 16:22
 
Commenti (1)
Le cose semplici ma belle di un tempo......
1 Venerdì 02 Maggio 2008 22:06
Carlo Moretti
Ancora una volta con questo articolo, caro zio Carlo, ci riporti indietro ai tempi che furono.
Se i più anziani di oggi seguissero un pò più la "tecnologia", leggendo direbbero: "quelli si che erano bei tempi".
Io non ho conosciuto quei tempi, sono troppo giovane, però essendo stato educato ed abituato alle cose semplici, da genitori del tempo descritto, come erano allora, penso che sarei stato comodamente a mio agio.
Devo veramente ringraziarti di cuore, perchè piano piano ci fai rivivere la Chiaramonti di un tempo.

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Grazie per l'attenzione. A dire il vero, c'è il pericolo che, abbandonandosi ai ricordi, si faccia la fine dei vecchi barbogi. Non fanno altro che rimpiangere il tempo perduto.
c.p.

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