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Farina del suo sacco: voci e volti antichi PDF Stampa E-mail
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Lunedì 21 Gennaio 2013 11:40

Racconti di Salvatore Patatu vissuti in maniera fantasiosa e visti da “Su mulinu 'e su 'entu

di Claudio Coda

“...Tziu Frantziscànghelu fit un'omine geniosu e attiraiat meda. Nd'inventaiat de ogni colore. Sempre allegru e risulanu, bugliaiat subra ogni cosa...“.

Salvatore Patatu, nel presentarci la sua ultima proposta letteraria (“Boghes e caras antigas de su mulinu 'e su 'entu” - Ed. LogoSardigna), sabato 19 gennaio nella Sala Consiliare di Chiaramonti, ha, forse, ripreso il suo ritratto caratteriale dello scrivere istrionesco.

Confesso da subito che il testo è ancora da leggere, e lo affronterò a testa bassa con una sequela di difficoltà che normalmente incontro con testi in lingua sarda, ma sarò agevolmente e piacevolmente accompagnato da una voce soave, a dir poco, e anche armoniosa: quella di Domitilla Mannu. La quale si è prestata per la realizzazione del CD allegato al testo. E questo mi renderà più semplice la lettura.

Ma già dalla presentazione, proposta da qualificati interventi, ho potuto farmi un'impressione su quello che andrò a leggere e ascoltare: veridades e fàulas immàginarias chi suni mannas cantu unu barraccu piaghèsu. Sono sicuro di trovare queste, a metà strada tra Chiaramonti e Ploaghe; e Tore, quella strada, la conosce e la ripercorre a oju serràdu, anche per la conoscenza diretta che ho io di lui.

Tiu Zerrete, tiu Cicciu Boe e Nenardu Cadorna, Foareddu, Foe Mannu, ma immagino esistesse anche Foe Minore, tia Mariantonia Fonnesa e tiu Totoi Limbichicu, il povero Andrea Cipirillu e tiu Foddetzu, l'operaio Frantziscu Metinmoto tutti personaggi che incontrerò nel testo.

Interpreti della comunità?

Forse alcuni, almeno così erano conosciuti; altri, provengono dall'ampio immaginario dell'autore. Il cognome, quello vero, in un piccolo centro diventava un'appendice, un supplemento poco usato, se non anche dimenticato. Gli appellativi affibbiati venivano portati avanti per diverse zenìe. Anzi diciamo che l'autore è stato abbastanza corretto e ben garbato nel non presentarne taluni che, il più delle volte, rasentano lo sconcio e l'indecenza. Ma qui erano vissuti con normalità e senza apparente disprezzo: bastava e avanzava l'allusione o il richiamo ad un attributo fisico per identificarne la fattezza, senza aver riguardo alla classe sociale e censo. Ma era l'ovvietà e nessuno si offendeva.

Tore Patatu nella sua preziosa raccolta, fatta di esperienze allegre poste in maniera burlesca, ma tutte chiaramontesi, offre uno spaccato della sua giovanile età trascorsa nel mulino marcato Giannotti e figli – Viterbo, a proprietà della ditta Budroni&Rottigni.

Senz'altro trattasi di altro mulino[1] dal macchinario differente da quello a caldaia a vapore n. 5463 del fu Pinducciu Michele da Nuchis, l'imprenditore ucciso con due fucilate nella notte del 30 dicembre del 1902 in pieno centro.

Nella raccolta descrive gli anni della fanciullezza trascorsi a imparare e, magari perfezionare, le furbate dei mugnai che, insieme ai fantini si diceva allora, erano riconosciuti tali e quali da tener sotto controllo. Lo dico a ragion veduta, non per aver portato sacchi di grano al mulino, ma cavalli all'ippodromo di Chilivani negli anni '70. Ho avuto modo di constatare la veridicità di quell'ossimoro, tant'è che le mie tasche ne hanno risentito. Non per quello che ha mangiato il cavallo, ma quello che si è “trangugiato” il fantino.

“Boghes e caras antigas” presenta l'anima, scrupolosa traccia storica del paese, vista dall'alto del mulinu 'e su 'entu, abbandonata al racconto, all'immaginazione, alla creatività, tanto da penetrare nel cuore dei personaggi veri o presunti. Nessun tono lamentevole o catastrofico che comunemente aleggia la vicenda di un paese, ma uno spaccato del passato quasi ridanciano e burlone, una narrazione con personaggi comuni, gente povera che poco si intrecciava, se non per manovalanza, con le figure de sos prinzipales che di solito vengono ricordati come personaggi costruiti più sulle tanche possedute che non per la capacità dialettica, acuta intelligenza estemporanea e carica farsesca.

Il passato è rivisto allo stesso modo, in maniera istrionica, da buon affabulatore e abile narratore, rivivendo le vicende del paese dall'alto di un locale dove tutti passavano con il loro tesoro: la farina!

Scritto in prosa sarda, nata negli anni '80, utilizzando la lingua parlata del proprio paese, con parole desuete e dimenticate o sostituite dall'italianismo. Scorrendo il glossario trovo parole oramai scomparse del parlato comune, ne cito alcune: cameddada (accompagnata), ifiliestos (giri viziosi), falòldia (baldoria), pertoca (di riguardo). E poco importa se lontana dalle norme scritte dell'ortografia della limba comuna.

Personaggi che vengono fuori dalla tomba per raccontare la loro storia come un affresco. Figure con i caratteri dell'animo umano, quello di un paese. Racconti che potrebbero nascere da sos contados innanzi a su brajeri, storie come quelle de sas pantàsimas, de Maria fressàda e Maria lentòlu, con i vecchi a raccontare a rivelare sas zenìas e sas raighìnas della propria e altrui famiglia e lasciare così le tracce del loro passaggio a nipoti attenti fruitori. Particolari di una vita che non esistono più.

Tore fa riferimento ad Alphonse Daudet[2], scrittore francese di “Lettres de mon moulin” del 1870, una raccolta di novelle dove, da quella postazione privilegiata, il suo mulino, credo le abbia scritte. Quel mulino ancora esiste e si trova a Fontvieille in Francia, nella regione della Provenza.

Come il nostro Mulinu 'e su 'entu che vigila, forse stanco dei malefizi, ma talvolta allegro per gli spettacoli alla burlesque che i chiaramontesi gli offrono.



[1] Il mulino era stato poi acquistato nel gennaio 1903, dagli eredi del Pinducciu, da Nicolò Madau, Giovanni Rottigni e Vincenzo Migaleddu e condotto dal responsabile della caldaia e mugnaio Raimondo Sias fu Gavino di Sassari, domiciliato in via Cavour n. 9 p. 1° fino al gennaio 1905. Altro conduttore fu tale Cubeddu Manunta Salvatore fu Matteo, che ebbe, il 10 settembre 1904, “una grave sventura d'infortunio sul lavoro per imprevidenza del Rottigni e per la quale riportò lesioni”. Così si legge in una nota n. 9568 datata 26 agosto 1905, indirizzata al Sindaco dal Prefetto di Sassari, che ne sollecita l'intervento presso il Rottigni perchè “voglia provvedere nel miglior modo possibile alla sua sorte antecipandogli adeguate sovvenzioni che lo pongano in grado di sollevare la propria famiglia dal peso d'una sventura che lo colpì”.

[2] Alphonse Daudet (Nîmes 1840 – Parigi 1898) scrittore e drammaturgo. Tra i suoi libri: “ Tartarino di Tarascona” (1872) e “Lettere dal mio mulino”, 24 novelle scritte nel 1870.

Ultimo aggiornamento Lunedì 21 Gennaio 2013 11:59
 
Commenti (2)
Onore al merito!
2 Mercoledì 23 Gennaio 2013 13:08
c.c.

Cara Domitilla,


niente di più di quanto ti è dovuto. La tua voce, come un violino, è suonata per un pubblico attento nonostante l'acustica non fosse all'altezza dell'occasione e dove le parole, la pronuncia, unitamente al tono vocale, avrebbero dovuto creare la dovuta armonia. Ma va bene così!


C'è da augurarsi che la strumentazione di quel locale venga adeguata al meglio.


Un cordiale saluto.


Claudio

Ringraziamenti
1 Martedì 22 Gennaio 2013 18:37
Domitilla Mannu

Grazie Claudio per le parole di apprezzamento che esprimi nei miei confronti. Sono orgogliosa ed onorata di aver dato il mio modesto contributo a questa nuova opera di Tore. Ti ringrazio anche per gli interessanti ed apprezzati articoli che pubblichi in questo sito.
Un cordiale saluto.
Domitilla
p.s. Sicura di fare cosa gradita, mi permetto di informare che la presentazione del libro di Tore, compresi gli interventi del pubblico è visibile nel sito www.francopiga.it

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