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La novena di Natale |
Scritto da Carlo Patatu |
Giovedì 16 Dicembre 2010 01:01 |
Ovvero il fascino perduto dei canti natalizi in latino di Carlo Patatu
Oggi 16 Dicembre, qui come altrove, si celebra l'avvio della novena di Natale. Essendo ormai vecchio, mi sono rimasti spazi esigui da declinare al futuro. Per contro, mi sì è ingigantita l'area dei ricordi. Parafrasando Leopardi, mi verrebbe da dire che 'breve ha la speme e lungo la memoria il corso...'. (Alla luna, versi 13-14)
Diversamente dal mio coetaneo Berlusconi. Che, beato lui!, appare senza rughe, calvizie e canizie; e fa sesso come un giovincello, spassandosela in nottate lunghe con compagnie allegre. Così dice.
I ricordi, dunque. Su di me, avendo frequentato la chiesa da bambino, con otto anni di carriera esemplare di chierichetto, la novena di Natale continua a esercitare un fascino che mai si è spento. Che il tempo e la mia partecipazione avara ai riti religiosi non sono riusciti a scalfire.
Mi picco di avere avuto il privilegio di nascere in una stagione povera, molto povera. Per giunta, immiserita da una guerra sanguinosa e distruttrice (1940-45). Il che mi ha consentito di apprezzare, anche visivamente, giorno dopo giorno, la travolgente rinascita dell'Italia. Ma anche di Chiaramonti, fatte le debite proporzioni. Di acquisire la capacità (che ho conservato) di meravigliarmi in presenza di qualunque novità; di godere per la conquista di pur modesti traguardi. Anche banali, come può esserlo il ricevere in dono una cravatta o un paio di calzini. Mi sono pure rimaste intatte la capacità e il gusto d'indignarmi dinanzi a soprusi, ingiustizie e quant'altro.
La novena di Natale, quand'ero bambino, la cantavamo in coro, istruiti a dovere da Suor Reverenda, che ci accompagnava con l'armonium, guidandoci con sguardo severo e con movimenti ritmati del capo, le mani impegnate sulla tastiera.
I testi degli inni e dei salmi (Regem venturum Dominum, Laetentur coeli, En clara vox, Magniticat, Tantum ergo) erano rigorosamente in latino. Noi li declamavamo in modo approssimativo. Ma li cantavamo con fede spontanea e sincera. Pur non comprendendo un'acca di quel che quei canti solenni e stupendi esprimevano. A fine cerimonia, se ne cantava sempre uno in sardo. Ricordo in particolare "Duos isposos, Notte de Chelu, Naschid'est" e altri che ora non mi vengono in mente.
A seguito dell'ultima riforma conciliare, il latino è stato bandito dalle messe e dai riti religiosi. Si è trattato di un provvedimento salutare e atteso, dal momento che una moltitudine di fedeli era solita invocare Santi e Padreterno senza capire quel che andava dicendo. Penso soprattutto alla cara, vecchia tia Giolziedda Muzzone. Che mai si perdeva una messa o una funzione. Ebbene, se n'è andata all'altro mondo serena, continuando, nel "Confiteor", a confessare i propri peccati improbabili alla "Beata Maria Villa e Michel'Iscanu", non riuscendo a pronunciare correttamente in latino "Confiteor Deo Omnipotenti, beatae Mariae semper Virgini, beato Michaeli Archangelo...".
Tuttavia, è innegabile che il fascino di quei canti (compresi quelli gregoriani), di tali orazioni, seppure recitate in una lingua ignota, è rimasto intatto in quelli della mia generazione. Ancorché non credenti. La chiesa semibuia, appena rischiarata da pallide lampadine da 25 watt e da una mezza dozzina di candele di cera messe in fila sull'altare maggiore, conferiva un plus d'intimità solenne al rito prenatalizio. Semplice, popolare, molto atteso e partecipato.
Oggi la novena di Natale la si canta in italiano, com'è giusto che sia. Con qualche concessione al sardo, tanto per dare un tocco di cultura locale al rito. Ma la musica dei canti moderni, lo confesso, non mi appare ispirata. Non la capisco proprio. E pertanto non mi commuove. Talvolta, quella musica può essere anche frutto di un onesto lavoro artigianale; ma mi sembra (ribadisco, sembra a me) priva di quell'afflato che, in altre stagioni, i musicisti sapevano infondere nelle loro composizioni. Forse (forse) perché supportati (gli autori) da fede robusta. O da altre ragioni che mi sfuggono.
Di tutto ciò ho parlato brevemente, nei giorni scorsi, col nostro parroco don Virgilio. Il quale, pur senza contestare il mio punto di vista, mi ha risposto facendomi osservare bonariamente che i ragazzi, oggi, quei canti che tanto hanno affascinato me manco li conoscono. Pertanto...
Già, i ragazzi. Naturalmente, hanno ragione loro. Perché il mondo, piaccia o no, continua a muoversi, a evolversi, a trasformarsi. Noi anziani, si sa, siamo portati a esprimere forme di egoismo sempre più accentuate, col passare degli anni. Sovente abbiamo (mi riesce diffice ammetterlo, ma è così) la presunzione che il mondo debba necessariamente fermarsi con noi. Col nostro modo di vedere e di pensare. Giusto o sbagliato che sia. Non è così. Eppure, quando riusciamo a rendercene conto, ci rimaniamo male. E finanche intristiti. O sbaglio?
Chiudo questa riflessione breve con una citazione che mi piace condividere con i lettori. È di Martin Luther King: "Abbiamo imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci; ma non abbiamo imparato a vivere come fratelli". |
Ultimo aggiornamento Sabato 18 Dicembre 2010 19:34 |
BUON NATALE !!!
Calogero Lombardo
Grazie per questi lampi di luce...
Con stima Salvatore Soddu