La contesa fra Chiaramonti e Martis per l’acqua di Spurulò Stampa
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Giovedì 11 Agosto 2022 18:41

di Salvatore Patatu

Leggendo il libro di Claudio Coda "Martis - Cronache di un ventennio” mi son venuti in mente vecchi ricordi, sbiaditi, ma mai completamente dimenticati, relativi ad avvenimenti legati all'abbeveratoio di Spurulò, sito a metà strada tra Chiaramonti e Martis, all'incrocio della strada comunale, che porta alla chiesa di Santa Giusta.

Uno di questi è legato al mio quinquennio di sindaco di Chiaramonti, quando gli abitanti di Martis ne inventavano una più del diavolo per impedire che alla vasca di Spurulò arrivasse troppa acqua, che veniva tolta al loro acquedotto, in quanto erano riforniti dalla stessa sorgente, sita in territorio chiaramontese.

Esisteva un contratto tra il comune di Chiaramonti e il comune di Martis, che regolava l'utilizzo di quest'acqua, che scaturisce  dall'interno della chiesa di Santa Giusta, proprio sotto l'altare. Poiché per caduta l'acqua sorgiva non poteva in alcun modo arrivare a Chiaramonti, posto a un'altitudine di molto superiore al punto in cui era collocata la sorgente, venne deciso di destinarla a rifornire l'acquedotto del paese di Martis, posto ad un'altitudine di gran lunga inferiore a quella di Chiaramonti. Nell'accordo era contenuta una inderogabile clausola: rifornire senza soluzione di continuità due abbeveratoi: uno posto vicinissimo alla chiesa di Santa Giusta e l'altro lungo la strada che da Martis porta a Chiaramonti, in località denominata Spurulò.


La tecnica più raffinata posta in essere dai cittadini di Martis era quella di inserire a colpi di martello una pallina d’acciaio nel tubo del rubinetto,  impedendo il libero deflusso delle acque e creando disperazione e malcontento nei pastori del paese. Fummo costretti ad intervenire più volte, sostituendo il tubo terminale e istituendo anche una specie di guardiania volontaria, che non portò a niente, in quanto l'anonimo impallinatore agiva indisturbato nelle ore notturne.


Gli “attentati” alla fontana durarono tutta l'estate, creando una specie di guerra fra i cittadini di Martis e gli allevatori della zona, che non potevano in nessun modo abbeverare il loro bestiame. Guerra che durò fino a quando, con l’autunno, le piogge risolsero il problema della penuria d’acqua. In seguito Martis provvide anche a razionalizzare la rete idrica del paese, eliminando perdite e attivando tutte quelle attenzioni finalizzate al risparmio del prezioso liquido. Tutto questo pose fine alla lotta condotta a colpi di palline d'acciaio.


Ma uno dei ricordi più vivi e più simpatici è legato all'ingenuità di una vecchia zia di un mio carissimo e furbissimo amico, il quale si faceva dare da lei i soldi della benzina per andare a Tempio e portarle l'acqua dalle fonti di Rinaggiu. Partivamo insieme io e lui e andavamo a ballare a Perfugas, a Ozieri o a Oschiri e, prima di rientrare a casa, solitamente molto tardi, passavamo a Spurulò, poco più di due km dal paese, per riempire il bidone. E doveva avere proprietà taumaturgiche quell’acqua, perché l’ingenua zia, non solo non si è mai accorta del trucco, ma diceva che, da quando il nipote, “s’iscureddu,” (quell'anima innocente) le portava l’acqua da Tempio, non aveva più avuto problemi di digestione, né “quelle insopportabili coliche renali” che, spesso, la costringevano a un'antipatica interruzione della ricerca dell'ultimo pettegolezzo e, soprattutto, dell'immancabile commento con le sue numerose comari.


Proprio a fianco dell'abbeveratoio, sul lato destro della strada, per chi va verso Martis, c'era, e c'è ancora, un cancello di accesso a una delle migliori aziende agropastorali del paese, che a quei tempi era gestita da Pasquale Asproni, gran lavoratore e uomo alla mano, molto conosciuto e stimato in paese. Questo cancello era posizionato perpendicolarmente rispetto alla linea della strada, in modo da consentire l'ingresso diretto e senza manovre per chi proviene da Chiaramonti, attraverso una leggera discesa, in una posizione più bassa rispetto al piano stradale.


Subito dopo il cancello, all'altezza dell'abbeveratoio, in posizione dominante, avevano l'abitudine di espletare il loro servizio di controllo e vigilanza del traffico i carabinieri di Martis, i quali fermavano tutte le macchine per controllare patenti, libretti di circolazione, frecce, gli stop e le luci. In tanti anni di appostamenti, non sono mai riusciti a bloccare un pastore che viaggiava con una macchina sgangherata, priva di bollo, di certificato di collaudo e dei requisiti minimi per poter circolare su strada; lui non aveva la patente di guida e, quotidianamente, si recava a Chiaramonti dalla sua tenuta di Pilucchi e ritorno. All'andata andava prestissimo a portare il latte al caseificio e i carabinieri non avevano ancora attivato il loro servizio. Consegnato il latte, faceva la doverosa sosta al bar con gli amici e ripartiva piuttosto sull'allegretto, inteso in tutte le sfumature semantiche che questo termine comprende.


Uscito dal paese, già dai primi tornanti, riusciva a intravedere se c'era la pattuglia nei pressi della vasca di Spurulò, che lo aspettava e, in caso positivo, pochi metri prima di arrivarci, invece di prendere la strada comunale che porta a Santa Giusta, girando a sinistra intorno alla vasca e passando obbligatoriamente a fianco dei Carabinieri, che lo avrebbero fermato per il controllo, s'infilava dritto dritto nell'azienda di Pasquale che la mattina, quando usciva, aveva l'abitudine di lasciare il cancello aperto. Si appostava sotto e aspettava che i carabinieri fermassero un'altra macchina. Quando questi erano impegnati controllando qualcuno, lui pronto usciva e s'infilava sulla strada comunale per recarsi alla sua azienda di Pilucchi. Tutto il paese era a conoscenza del trucco, fuorché i carabinieri, che, essendo di Martis, non si sono mai accorti di niente.


Un altro ricordo risale al 1947, quand’ero chierichetto, il giorno della festa di san Matteo Apostolo ed Evangelista, patrono di Chiaramonti. Quell'anno, insieme alle tradizionali gare di canto a chitarra e di poesia improvvisata, albero della cuccagna nel parco della Rimembranza e derby dell'Anglona per asinelli di pura razza sarda, fu organizzata anche una gara ciclistica, per accontentare i numerosi appassionati.


Era la prima festa che organizzavano in paese dopo la seconda Guerra Mondiale e il programma fu accolto molto favorevolmente da tutti gli abitanti, desiderosi come erano di tornare alla normalità, dimenticando i lutti e gli sconquassi che aveva portato l'evento bellico.


Fin dalla mattina, dopo la processione del ventuno di settembre, che quell'anno cadeva di domenica, c'era grande fervore ed entusiastica attesa tra la popolazione, per la presenza di una settantina di corridori, che si sarebbero dati battaglia con le loro luccicanti biciclette, le magliette multicolori, i berrettini alla Bartali e il tubolare di scorta posto a tracolla.

La gara doveva aver luogo nel pomeriggio, per cui, a mezzogiorno, era previsto un "modesto” pranzetto per i partecipanti che venivano da fuori. Il fatto, che la festa cadesse di domenica, aveva agevolato la straboccante partecipazione di atleti, provenienti non solo dai centri vicini di Ploaghe, Tula e Ozieri, ma anche da paesi molto lontani come Olbia, Alghero, Nuoro e Oristano. Non avendo un locale sufficiente per accoglierli tutti, gli obrieri li sistemarono nelle famiglie, sfruttando i due codici che regolano la cordiale ospitalità sarda:

"S'istranzu est su benènnidu ca sa padedda, in die de festa, buddit allegra in totu sas domos!” (L'ospite è il benvenuto, in quanto la pentola bolle allegra in tutte le case nel giorno di festa)

E “Inue bi màndigant in ses bi podent mandigare puru in sette“. (Dove mangiano sei persone, possono mangiare agevolmente anche in sette).


Però, l’ospitalità anglonese prevede anche che s’istranzu (l'ospite) debba mangiare lautamente, con piena soddisfazione; più di quanto non dovrebbe fare un atleta che si appresta a partecipare a una gara impegnativa, che prevedeva, nella prima parte, cinque giri nel centro storico del paese, attraversando vie strette e tortuose, in un continuo saliscendi forsennato, su un selciato antico, eseguito a suo tempo con grande approssimazione da mastru Matteu, senza alcuna attrezzatura che lo aiutasse a rispettare i livelli, i parallelismi e la regolare stratificazione della pavimentazione, per scendere poi, dritti, fino a Perfugas! Tornare a Chiaramonti, superando un discreto dislivello attraverso i paesini di Laerru e Martis! Continuare per Ozieri e ritorno, col traguardo, dove si assiepava la gente per applaudire il vincitore. Un totale di oltre cento km, di cui, buona parte, su strada non asfaltata, con discese e risalite da togliere il fiato, soprattutto nei passaggi a Chiaramonti, sia tornando da Perfugas, sia tornando da Ozieri.


Non appena il direttore di gara abbassò la fatidica bandierina, che dava inizio all'attesa partenza, una decina di ciclisti non riuscirono neanche a fare una pedalata, in quanto, nella foga della spinta iniziale, si sbatterono tra di loro e rimasero impigliati sul posto a litigare, addossando le colpe l'uno all'altro.


Completato il quinto giro dentro il paese, la metà dei corridori aveva già abbandonato la contesa, per manifesta ingestione gratuita di ravioli al formaggio pecorino.


Sos pius fortes sunt restados!” (Son rimasti i più forti) disse qualcuno.

"Paga zente bona festa!”(Poca gente miglior festa) Gridò Giuannantoni.

Dai Sanna!” (Forza Sanna) aggiunse il povero Antonio Caboce, battendo le grosse manacce piene di calli.


I pochi corridori rimasti affrontarono con poderosa gagliardia il curvone de s’istradone, di fronte alla casa parrocchiale e, passando davanti all’Asilo Infantile, in discesa, a tutta velocità, sparirono in un baleno dietro la curva di Sos Puntinos. Ma, superate la curva e la controcurva di Giuanne Tzegu, dove comincia una leggera salitina, dolcissima per un atleta in forma, ma deleteria e nociva per chi a pranzo si è abbuffato di ravioli e porcetto, innaffiati con del buon cannonau, fornito gratuitamente dalle generose vigne di Codinas del maestro Brau. Arrivati alla vasca di Spurulò, i ciclisti, scesi dalle loro biciclette, si son lavati il viso, si sono stravaccati sull’erba e non si sono più mossi.


Nel 1972 scattai questa foto, la quale sta a dimostrare che non sono solo gli uomini a trasgredire le regole imposte dal vivere civile, ma anche qualche screanzato vitello.

Ultimo aggiornamento Giovedì 11 Agosto 2022 19:01