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1900: Villaggio di Chiaramonti, vestiario degli uomini e delle donne |
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Venerdì 21 Novembre 2008 17:43 |
Infatti il primo nucleo della popolazione dovett’esser formato dai profughi del vicino villaggio di Orrea Pichinna , riparati presso il menzionato castello onde poter godere della protezione della potente famiglia dei Doria. Ond’è a presumere che i primi caseggiati furono inalzati nelle vie appellate Muru Pianedda e Carrela longa ; giacché nelle poscia chiamate Pala de Chercu , S’Ulumu e Sa Murighessa dovettero essere disabitate perché boschive, come denotano i nomi delle diverse piante di alto fusto alle stesse imposto. Che la popolazione poscia fosse oltremodo scarsa lo si potrà desumere dai censimenti stati eseguiti dopo parecchi secoli dalla fondazione del villaggio. Infatti, dal censimento stato eseguito sotto il governo spagnolo nel 1690 e mentr’era viceré dell’Isola il conte di Montellano, risulta che Chiaramonti comprendeva soltanto 237 fuochi o famiglie, composte di 340 maschi e 516 femmine, cioè 856 abitanti. E da quello stato eseguito sotto il regno di Carlo Emanuele III si rileva che questa popolazione non superava 901 abitanti. La sua popolazione, giusta il censimento del 1911, non supera i 2584 abitanti ed i caseggiati che compongono l’abitato nel maggior numero non mancano del piano superiore ed all’interno sono imbiancati oppure dipinti a colori diversi. La chiesa, dedicata all’apostolo ed evangelista S. Matteo, è di stile gotico-lombardo, a tre navate, le di cui arcate e volte sono sorrette da colonne di trachite morata e sormontate da capitelli d’ordine corinzio. diversi altari, il fonte battesimale ed il pulpito di marmo, però quast’ultimo le altre opere d’arte avanza sia per eleganza di disegno che per finitezza di lavoro. E' però da deplorare che tal sontuoso edifizio sia del tutto privo di un dipinto e di un simulacro di qualche pregio artistico. E ciò probabilmente andò sempre dovuto alla scarsa coltura intellettuale del nostro clero, nonché allo stato di povertà della parrocchia, causato dal sacerdozio e dagli amministratori dei beni di essa, che nei diversi tempi non furono certamente stinchi di santi. In quanto alla caserma ed alla casa comunale per la felice disposizione dei vani sono edifizii oltremodo adatti all’uso cui sono destinati.
E finalmente i dintorni del paese non lasciano di essere incantevoli, non solo per le numerose piante fruttifere e per i vignetti che rigogliosamente prosperano nei versanti della collina nella qual’è situato il villaggio, come ancora perché da entrambe le località appellate Codina rasa e S. Matteo è concesso di poter vedere ad occhio nudo il ceruleo mare, i monti d’Aggius, di Bortigiadas, il Limbara, il Lerno, il monte Acuto, Monte Santo, Pelao, l’altipiano di Campeda, Monte Minerva, Monteledda e Bonaria, così pure la città di Ozieri ed i villaggi di Ardara, di Banari, d’Osilo, di Nulvi, di Martis, di Laerru, di Perfugas. Per quanto poscia si attiene a questi abitanti è pur vero che sono dotati di sottile ingegno e dediti al lavoro, però ciò non toglie che non siano soverchiamente iracondi, vendicativi e non alieni dal commettere reati di sangue. Ora tali qualità e diffetti agli stessi non è d’impedimento nei giorni festivi di darsi ai passatempi, per cui cantano, ballano, danzano e gareggiano tra di essi nel saper meglio tirare al bersaglio. Così pure non lasciano molti di recarsi in compagnia delle mogli e delle figlie, nei lontani santuari di San Costantino di Sedilo, di San Giovanni di Mores, di S. Gavino di Portotorres e della Vergine del Latte Dolce di Sassari, sia in adempimento di sacri voti, che per mero diletto. Anzitutto gli uomini coprono il capo con un berretto di lana nera tigliosa e sopra la camicia indossano in giubbone di panno nero, oppure di vellutto di colore violaceo od olivigno, chiuso in due lati da due fila di bottoni soffermati da occhielli. E di sopra al giubbone vestono un cappotto corto di furesi provveduto di cappuccio. noltre sopra le mutande di lino o di cotone indossano i pantaloni di furesi i quali, dopo di aver rinchiusi nella cintola i lembi del giubbone, scendono sino alle tomaia degli stivali. Le donne, alla loro volta, costumano di coprire il capo con un fazzoletto di seta, di tibet, di lana o di filo di color nero, caffeino e non sovracarico di fiorami. Desso è in forma di una V maiuscola, pende sulle spalle ed è piegato ed allacciato sotto il mento dai lembi estremi. opra la camicia usano d’indossare il busto formato di tela gregia, coperto di cotonina e di brocato a fiorami d’argento o di oro, percorso sulla sua lunghezza con cordoncini di tali metalli e di sovente tempestato di granatiglia gemmata. E le due guaine che lo compongono, sia nel petto che nelle spalle, sono strette alla vita da un intreccio di nastri di lana o di seta di colore roseo, violaceo od incarnatino. Avvolgono inoltre il collo con un fazzoletto di seta, di lana o filo a colori diversi e destinato a coprire le forme del petto. Similmente sopra un tal fazzoletto ed il busto vestono un giubbetto di panno, di lana o frustagno per l’ordinario di color nero o caffeino. Allorché poi è di lana o di seta nel petto è percorso da pieghe, adorno da cordoncini di seta nera, di sottili nastri di velluto dello stesso colore e persino da perline di cristallo.
Nè si dica che si spende meno vestendo di velluto, di frustagno, di calancà e di cotonine diverse, anziché di lana. Ma bisognerebbe di tener conto della breve durata di tali tessuti in paragone a quello del furesi e del segnalato benefizio della salute, superiore ad ogni maggior spesa, che di leggieri potrebb’esser sostenuta anche dalla classe povera, mercé la parsimonia, una maggiore operosità; filando a tessendo il lino e la lana in famiglia come nel passato, essendo meno festaiuoli e frequentatori delle bettole. Finalmente adornano il collo con collane di corallo o formate con perline di cristallo, le orecchie con pendenti ed orecchini d’oro, d’argento o d’altro metallo, così pure con anelli d’oro e d’argento non lasciano di adornare le dita. Cfr. "Villaggio di Chiaramonti, vestiario degli uomini e delle donne e loro principali occupazioni", in: Carlo Patatu, Chiaramonti – Le cronache di Giorgio Falchi, ed. Studium adp, Sassari 2004, pp. 286-290. |
Ultimo aggiornamento Martedì 01 Dicembre 2009 16:20 |