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Patriarcato sì patriarcato no |
Venerdì 08 Dicembre 2023 12:15 |
di Carlo Patatu La vicenda della giovane Giulia Cecchettin, uccisa brutalmente a pugnalate dal fidanzato e abbandonata nella boscaglia, ha scosso le nostre coscienze e ha destato, specialmente fra i giovani, ondate incredibili di commozione.
Non sono mancate le marce di protesta e le fiaccolate che hanno riempito e scaldato le piazze e dato sfogo a una miriade di slogan, discorsi, veglie di preghiera. Il tutto all’insegna del “È ora di finirla, basta violenza sulle donne!”. Il montare di tanta protesta è comprensibile, fa parte del nostro DNA. Montanelli diceva che siamo un popolo di centometristi. Abbiamo lo scatto bruciante, ma ci arrestiamo presto. Proprio quando dovremmo dare prova di caparbietà e perseveranza. Che sono doti da maratoneta, non ci appartengono. C’è chi reclama l’adozione di provvedimenti più severi per tutelare le donne e punire in modo esemplare i violenti. Qualcuno, esagerando come capita spesso, si è spinto fino a definire i femminicidi omicidi di Stato. Da parte di chi sta a Palazzo non mancano le dichiarazioni rassicuranti con l’impegno di provvedere al riguardo. E al più presto. Ma noi sappiamo che, seguendo un copione arcinoto, fra qualche tempo gli animi si placheranno e tutto tornerà come prima. Fino al femminicidio prossimo venturo. E chi s’è visto, s’è visto. Insieme all’opinione pubblica, sulla questione ormai annosa si è diviso anche il mondo politico. Per taluni, la violenza di genere è figlia della nostra società, che da sempre è maschilista; e quindi patriarcale. Altri, invece, sostengono che la responsabilità di quanto accade è soltanto individuale e che il resto è puro sociologismo. Insomma, c’è chi, per ristabilire l’ordine, punta sull’inasprimento delle pene contro chi usa violenza alle donne e chi, al contrario, ritiene di andare alle radici del problema elaborando interventi volti a modificare certi comportamenti animaleschi ben radicati nella nostra società. In genere, il nostro vivere s’ispira ai valori cristiani così come espressi nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Bibbia, Vangeli e atti degli Apostoli. Ebbene, sentite cosa insegnava ai suoi discepoli san Paolo in una lettera indirizzata ai Corinzi: “…sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo e capo della donna è l'uomo…” […] “…L'uomo è immagine e gloria di Dio; la donna, invece, è gloria dell'uomo. E infatti non è l'uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo…” […] “…Le donne nelle assemblee tacciano, perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea…”. Teniamo conto che duemila anni fa Paolo di Tarso pronunciava queste parole che, oggi, difficilmente gli uscirebbero di bocca. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e fiumi d’inchiostro sono fluiti sull’argomento. Pertanto molte cose sono cambiate sulla posizione della donna nella Chiesa. Eppure c’è da dire che questi passi echeggiano ancora fra le navate austere delle nostre chiese, durante le letture che, celebrando la messa, il sacerdote propone ai fedeli. Ho sentito quelle parole con le mie orecchie, assistendo alla cerimonia di un matrimonio. Non mi è parsa una bella prospettiva per la sposa. La scarsa considerazione della donna in ambito ecclesiastico perdura tuttora. La donna non può dir messa, né svolgere le funzioni del sacerdote. Non può aspirare al rango vescovile; men che mai alla berretta cardinalizia. Quanto al trono papale, manco per sogno. Nemmeno la potentissima suor Pascalina Lenhert, che sovrintendeva severamente ai servizi di camera ai tempi di Pio XII, osava oltrepassare le porte di accesso alle stanze del potere in Vaticano. Quand’ero chierichetto, al sesso femminile era precluso l’ingresso al presbiterio durante la celebrazione delle funzioni religiose. In quel luogo una donna poteva mettere piede soltanto se armata di secchio e scopa, per svolgervi le pulizie e riordinare l’altare. Ma anche in veste da sposa, al braccio del compagno. Sempre che non fosse incinta o già convivente col fidanzato. In quei casi, la celebrazione avveniva fuori dallo spazio interdetto. Lo status di peccatori dei due doveva essere additata al pubblico ludibrio. Insomma, una vera gogna. Soprattutto per la sposa, che non poteva nascondere il frutto della propria colpa. Per il gentil sesso la situazione non è mai stata ideale nemmeno in politica. C’è voluta una legge per garantire nelle cariche pubbliche un minimo di rappresentanza, le cosiddette quote rosa. Per di più accade sovente che siano le stesse donne ad auto discriminarsi e a non riconoscere al proprio genere il giusto valore. Qualche giorno fa ho letto sulla Nuova Sardegna l’intervista fatta da Alessandro Pirina a Katia Ricciarelli. Ebbene, quando il giornalista le ha chiesto se le piace Giorgia Meloni, prima donna a espugnare Palazzo Chigi, la celebre soprano ha risposto subito di sì. Perché? “È una donna - ha risposto - e ha il piglio di un uomo, anzi è più uomo di tanti altri”. Capite? Forse non esiste un piglio di donna? Quindi, per essere considerata brava, deve possedere doti mascoline. Non so dire se dalla cintola in su o viceversa. Detta da una femmina come la Ricciarelli, la cosa dà da pensare. È vero che, a parità di condizioni, alla donna riesce più difficile farsi strada e salire la scala sociale. D’altronde, se istituzioni antiche e prestigiose come lo Stato e la Chiesa tengono in poco conto il cosiddetto sesso debole, volete che la società, abituata a pensare e operare per generalizzazioni, senza star lì a sottilizzare, possa comportarsi diversamente? A dispetto della modernità e dell’emancipazione dei costumi, se il marito tradisce la moglie, si continua a definirlo libertino; se lo fa lei è una puttana. Non intendo invischiarmi nella polemica su patriarcato sì, patriarcato no. Ma è chiaro come il sole che l’ambiente in cui una persona cresce ne condiziona decisamente il carattere, lo sviluppo della personalità; e quindi anche il futuro. Ecco perché, ferme restando le responsabilità individuali in sede di giudizio di eventuali reati commessi, nelle aule di Giustizia non si può fare a meno di considerare come e dove ha vissuto chi compare da imputato in in un’aula di Tribunale. Per capire. Lo impongono la legge e il buon senso. L’inasprimento delle pene, specialmente nel massimo, finora non ha prodotto benefici. E allora? Allora occorre studiare seriamente i possibili rimedi, nella consapevolezza che i risultati, se mai ci saranno, non potranno arrivare in tempi brevi. Le disuguaglianze di genere sono profondamente radicate in ogni società e gli stereotipi, come le cattive abitudini, sono duri a morire. Partire dalla famiglia e dalla scuola mi parrebbe un buon avvio. Secondo un proverbio indiano, chi educa un bambino educa un popolo. Di questo c’è bisogno, di un popolo educato. Il resto viene da sé.
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