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Finché c’è guerra c’è speranza PDF Stampa E-mail
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Sabato 18 Novembre 2023 18:25

 

di Carlo Patatu

“Finché c'è guerra c'è speranza”. Ricordate? È il titolo di uno spassoso film del 1974 diretto e interpretato da Alberto Sordi. Vi si raccontano le avventure tragicomiche di un bravo e simpatico uomo d’affari che, grazie alle guerre, realizzava profitti immensi vendendo armi.

L’ho rivisto qualche giorno fa, quel film, e nuovamente mi sono divertito. Ma stavolta ho anche volto lo sguardo all’attualità; pertanto non ho potuto fare a meno di chiedermi quanto vale e quanto sia appetibile globalmente la compravendita di armi. Mi sono documentato un po’ e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che il volume di affari in quel settore va ben oltre i duemila miliardi di dollari e che nel decennio 2011-2020, le spese militari di tutti i Paesi del mondo hanno registrato un incremento del 9,3%.

Com’è evidente, il mercato che fornisce strumenti di guerra gode ottima salute. Nello stesso periodo, la sola Cina ha visto ascendere quell’incremento a un incredibile 76%! In questo campo ci si batte con fior di bigliettoni e rilanci calando sul tavolo cifre astronomiche che tolgono il respiro. Com’era facilmente prevedibile, in una classifica delle prime 10 nazioni, la fanno da padroni gli Stati Uniti, seguiti dalla Russia. L’Italia figura al sesto posto, chiude la lista Israele. I dati li fornisce lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), istituto indipendente che si dedica alla ricerca su conflitti, armamenti e disarmo. Dalla classifica citata rileviamo che, nel quinquennio 2017-2021, i primi cinque Stati esportatori di armiassorbono il 77% del mercato globale.

Duemila miliardi di dollari rappresentano una bella torta da spartire. Non desta meraviglia, quindi, che più paesi vogliano accaparrarsene una fetta. Possibilmente grande. Gli Stati Uniti sono la nazione che esporta più armi nel mondo il 38,6% degli affari globali va a impinguare il portafoglio degli americani. Che riforniscono di armi oltre cento Paesi. Poi viene la Russia con il 18,6% della quota mondiale. La terza venditrice è la Francia con il 10,7% di affari. Nell’ultimo quinquennio, la Cina ha sorpassato i tedeschi, attestandosi sul 4,6% del mercato globale. Al quinto posto viene la Germania. La sua quota di mercato è pari al 4,5% dell’export. Poi veniamo noi, sesti con il 3,1%. Esportiamo materiale bellico in Egitto, Qatar, Turchia, Kuwait Turkmenistan.

Detto ciò, tralasciando i motivi anche nobili che possono giustificare qualche discesa in campo a suon di fanfara e con le armi in pugno, si può azzardare l’ipotesi che lo stato di guerra possa tornare utile a qualcuno? Credo proprio di sì. E se questo qualcuno avesse la possibilità di esercitare un’influenza efficace su chi può adoperarsi per porvi fine o fomentare nuovi pretesti per prolungarne la prosecuzione, credete che se ne starebbe “bonino bonino”, astenendosi dall’esercitare quell’influenza a proprio favore? Esperienze in materia maturate in passato non inducono all’ottimismo. Ricordate le esultanze telefoniche di due imprenditori alla notizia del terremoto che distrusse L’Aquila?

Ecco perché ogni tanto si accendono qua e là conflitti che, ispirandosi a buona volontà e ragionevolezza invece che al motto biblico “occhio per occhio, dente per dente”, potrebbero essere governati e spenti in tempo utile. Prima che deflagrino in incendi rovinosi. Nel caso degli scontri in Medio Orienta è chiaro come il sole che le parti in causa non sono tanto gli Israeliani e i Palestinesi, quanto la Destra-Destra di Netanyahu contro Hamas. E cioè di due forze che, pur minoritarie nei rispettivi Paesi, cavalcano l’odio attestandosi entrambe su posizioni rigide e finora inconciliabili. Privilegiando sovente il ricorso a strategie che hanno il sapore del terrorismo. Ecco perché la soluzione ragionevole auspicata dai più (due Popoli, due Stati con pari diritti e doveri) resta purtroppo un miraggio.

Pensate quanti ospedali, scuole, strade e opere di utilità pubblica potrebbero realizzarsi con 2 mila miliardi di dollari. Invece vanno a finire nelle tasche dei mercanti di armi, che frattanto ringraziano, In fondo ha ragione Sordi, “Finché c’è guerra c’è speranza”. E, aggiungo io, ci dev’essere pure qualcuno ad l’alimentarla quella speranza,

 

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