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Ci sono morti e morti? PDF Stampa E-mail
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Domenica 12 Novembre 2023 13:32

 

di Carlo Patatu

La guerra in Medio Oriente fra Israeliani e Palestinesi prosegue imperterrita. A dispetto dei numerosi appelli alla pace che, pressoché quotidianamente e da più parti, sono rivolti ai contendenti.

Ma chi comanda in Israele e a Gaza appare indifferente a ogni richiamo e non lascia trasparire un ben che minimo segnale che induca a sperare in una dignitosa e sollecita conclusione del conflitto. Pertanto i morti, segnatamente fra le popolazioni civili di entrambe le parti, non si contano più. Supererebbero la decina di migliaia.

Le cronache quotidiane ci raccontano che la guerra moderna, condotta con armi sofisticate, strumentazione elettronica e missili d’avanguardia, più che di militari, come accadeva nel passato, ora fa strage di bambini, donne e anziani. Costretti a lasciare le proprie abitazioni bersagliate dalle bombe, alla ricerca, affannosa e spesso inutile, di un rifugio qualsiasi. Lasciandosi dietro le spalle montagne di macerie, desolazione e morte. Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto in quei luoghi, forzatamente se ne allontana, direbbe Manzoni.

Fra Israele e il mondo arabo, i rapporti sono stati sempre pessimi. Un odio profondo divide quelle popolazioni. I palestinesi, in prima fila quelli che militano sotto le bandiere di Hamas, si rifiutano categoricamente di riconoscere Israele come Stato; lo vorrebbero addirittura distrutto, affogato nel Mediterraneo.

Gli israeliani, in barba alle risoluzioni approvate dall’ONU al riguardo, continuano a rosicchiare altre terre a favore di nuovi coloni in Cisgiordania e a condizionare pesantemente la vita nella striscia di Gaza, che da loro dipende in toto per gli approvvigionamenti di energia elettrica, acqua, prodotti petroliferi e quant’altro necessita per lo svolgimento delle attività quotidiane. Insomma, con queste premesse appare finora impensabile trovare un punto d’incontro fra due soggetti che voglia d’incontrarsi non ne hanno. Anzi passano da una provocazione all’altra con episodi di guerriglia cui la controparte risponde immancabilmente e spesso esagerando.

E così il 7 Ottobre scorso Hamas ha attaccato un rave party nel deserto del sud di Israele, provocando l’avvio di una nuova e sanguinosa fase dell’eterno conflitto tra Israele e Palestina. La risposta di Gerusalemme contro i terroristi palestinesi è stata ad alzo zero, con l’intento dichiarato di eradicare Hamas dai territori che governa. La reazione di Israele è stata devastante, con massicci interventi aerei e terrestri nella Striscia di Gaza che Hamas controlla ormai da 16 anni.

Finora le vittime si contano a migliaia. Più di 1400 gli israeliani uccisi brutalmente il 7 Ottobre e 240 presi in ostaggio; secondo Hamas ammontano a circa diecimila i palestinesi uccisi, quasi tutti civili. Si discute molto, in questi giorni sulle modalità poste in essere dall’una e dall’altra parte per provocare una tale strage. Quasi che possa farsi distinzione fra morti e morti. Fra chi perde la vita perché sgozzato e chi se ne va all’altro mondo colpito da una fucilata.

Vero è che la morte di un giovane, specie se vittima d’incidente, desta maggiore commozione che per un anziano. Pertanto è abbastanza normale che provochino reazioni diverse le circostanze in cui una persona perde la vita. Nei casi in discussione, si deve riconoscere che la visione di oltre 1.400 vittime fra bambini, donne anche incinte e anziani sgozzati brutalmente e seviziati nel corso dell’incursione palestinese ordinata da Hamas hanno suscitato certamente (a me è accaduto così) un orrore di gran lunga maggiore di quanto ho provato per gli 11.000 palestinesi caduti sotto le bombe israeliane sganciate dagli aerei o sparate con razzi e cannoni.

Ma allora è vero che ci sono morti e morti! Credo proprio di no. E mi spiego.

Le vittime dell’aggressione spietata e disumana di Hamas hanno offerto a fotografi e cineoperatori una visione orribile, ulteriormente amplificata dalla condizione delle vittime innocenti (bambini, donne e anziani inermi). Ripensandoci sopra mi sono chiesto come mai gli artefici di quel massacro non siano stati mossi a pietà incrociando lo sguardo innocente di un bambino in pianto, sentendo le invocazioni certamente accorate delle loro mamme e vedendo scorrere le lacrime dei vecchi, che imploravano compassione e clemenza. Ci vuole un cuore di pietra e tanto tanto fegato per rimanere indifferenti di fronte un simile spettacolo.

Per chi sgancia bombe o lancia missili il compito si presenta più semplice; almeno nell’immediatezza. Dall’aereo e dalle postazioni le vittime non si vedono. Non si sentono le loro urla di dolore e il disperato pianto. E poi, in quelle circostanze, piloti e addetti alle batterie non possono nemmeno distrarsi a pensare che le sagome dei palazzi sottostanti che le immagini delle telecamere rimandano confuse in cabina potrebbero riferirsi a scuole con migliaia di bambini inermi e inconsapevoli, a ospedali che accolgono gente ricoverata per sfuggire alla morte, non per andarle incontro.

Così pure accade a noi, che seguiamo quegli eventi alla televisione. Un conto è vedere in lontananza la densa nuvola che s’innalza dopo lo scoppio di una bomba; altro è vedere, con tanto di panoramiche e primi piani, cataste di cadaveri e cadaverini ammucchiati per terra e che mostrano evi denti i segni delle sevizie lasciati da chi si è accanito brutalmente su di loro.

Infine, va considerato che l’orrore è un sentimento temporaneo. È destinato, nel lungo periodo, ad attenuarsi fino a scomparire. Ne permane semmai il ricordo sfumato. L’entità dei caduti, invece, resta. Altro che se resta. I morti sono morti e tali rimangono. Persone care sottratte alle famiglie e alla comunità. Che siano israeliani o palestinesi poco importa. Come non importano le circostanze che li hanno mandati all’altro mondo prima dell’ora.

 

 

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