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Sabato 14 Ottobre 2023 16:42

di Carlo Patatu

S

tamattina, chissà perché, mi è tornata in mente la modalità di elezione dei priori e delle prioresse a capo delle antiche confraternite a Chiaramonti. Maschili e femminili. Parlo del periodo in cui ero chierichetto; e cioè degli anni Quaranta del Novecento.

Cosa sono le confraternite?

Sono associazioni religiose, variamente intitolate, che hanno lo scopo di riunire persone particolarmente devote, dedite alla preghiera e alle opere di bene. Da noi ce n’erano allora quattro: una maschile e tre femminili.

Quella maschile era intitolata alla Santa Croce. I confratelli, durante le funzioni religiose e in processione, indossavano una tunica bianca cinta da un cordone con due pompon; sulle spalle la mozzetta con orlo viola e copricapo in forma di cappuccio. Parevano fantasmi e m’incutevano un po’ di paura. Specie quando le funzioni religiose si svolgevano nelle ore serali e la chiesa era scarsamente illuminata dalle fiammelle tremule delle candele.

Le consorelle facevano capo alle confraternite del Santissimo Sacramento, del Santo Rosario e della Santa Croce. La prima era contraddistinta da un nastro rosso vivo che, cinto alla vita, era di colore viola in occasione dei funerali e durante la Settimana Santa. La seconda aveva come segno di distinzione un nastro celeste, ugualmente cinto alla vita. Le aderenti alla Santa Croce cingevano anch’esse il cordone con pompon. Consorelle e confratelli si appuntavano sul petto la relativa medaglia. Ciascuna confraternita aveva un proprio stendardo che, in processione, i rispettivi soci seguivano ordinatamente in fila per due. Chiudevano la sfilata, le rispettive prioresse e il priore. Salmodiando o recitando il rosario.

Priori e prioresse duravano in carica un anno liturgico ed erano eletti seguendo un antico rituale. Con metodo democratico, sostenevano convinti il parroco dottor Pietro Dedola e il vecchio canonico chiaramontese don Christovulu, monsignor Cristoforo Grixoni. In realtà, di democratico quella procedura non aveva nemmeno l’ombra. Noi oggi sappiamo che, per eleggere persone, il voto deve essere personale, libero e segreto. In quella circostanza, il voto era sì personale, ma non era segreto. Di conseguenza non poteva essere nemmeno libero.

Consorelle e confratelli esprimevano la propria preferenza a uno dei candidati contenuti in una terna e scelti liberamente dalla prioressa/priore, che integrava il prescelto con altra persona. Il candidato non eletto nell’arco del triennio era cancellato e sostituito.

La votazione aveva uno svolgimento certamente curioso. Trattandosi di soggetti in prevalenza analfabeti, non era pensabile fare ricorso alle schede in uso oggigiorno. Pertanto il nostro parroco aveva escogitato un espediente che poneva rimedio alla condizione di analfabetismo quasi generalizzato; ma relegava in cantina il metodo democratico. Il seggio elettorale era costituito dal solo prete. Che, nel giorno e nell’ora stabiliti, dopo la recita del rosario e l’invocazione a Dio e ai Santi, si sedeva dietro un tavolino collocato sul lato destro dell’abside della chiesa parrocchiale. Dietro le eleganti balaustre marmoree, che allora c’erano e che, alla fine degli anni Sessanta del Novecento, furono smantellate. Improvvidamente.

Padrino Dedola (così lo chiamavo perché mi aveva battezzato), scorrendo l’elenco degli elettori, ne chiamava uno per volta. Questi s’inginocchiava davanti alla balaustra e, fatto il segno della croce, sussurrava il nome prescelto all’orecchio del prete, che ne prendeva nota sul foglio contenente la terna dei candidati. Fin da allora, nonostante fossi un bambino, mi frullava per la testa il dubbio che, volendo, il parroco potesse trascrivere un nome diverso da quello che gli era stato indicato. Può essere accaduto? Non so dire. Tuttavia la mano sul fuoco per attestare la sua innocenza non la metterei. Sapevo bene che anch’esso, come tutti, aveva debolezze, simpatie e antipatie. Insomma, la sua condizione di arbitro e giudice unico gli permetteva di condizionare l’esito di quella votazione sui generis.

Alla faccia della sbandierata democrazia.

D’altra parte, cosa mai si poteva pretendere da fedeli sprovveduti e sacerdoti cresciuti ed educati sotto un regime dittatoriale? A quel tempo, il termine “Democrazia” era pressoché sconosciuta. Oggi, e meno male, sappiamo bene cosa significa quella parola. Anche se non sempre ci riesce facile declinarla in modo corretto. A questo riguardo, mi piace citare, fra le molteplici definizioni coniate nel corso degli anni, questa, molto curiosa, di George Bernard Shaw (1856-1950): “La democrazia è un meccanismo che ci assicura che non saremo governati meglio di quanto meritiamo”.

La democrazia è un meccanismo che ci assicura che non saremo governati meglio di quanto meritiamo.

 

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