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La rana bollita PDF Stampa E-mail
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di Carlo Patatu

L

a storiella della rana bollita è una metafora, rivelatasi peraltro molto efficace, che è solito raccontare Noam Chomsky per descrivere la tendenza delle persone ad adattarsi a situazioni anche spiacevoli, senza opporsi se non quando sarà troppo tardi. E quindi inutile.

In buona sostanza, bombardati dai media, condizionati dal come ci vengono raccontati la situazione politica e l’andamento dell’economia, in prima battuta accettiamo passivamente e in silenzio ogni angheria o sopruso, maltrattamenti, molestie e persino la scomparsa di certi valori professati da sempre.

Ma andiamo per ordine.

Chi è Noam Chomsky?

È un celebre filosofo, linguista e anarchico della Pennsylvania (USA), oggi novantacinquenne. È famoso per l’elaborazione di certe teorie inerenti alla linguistica e alla capacità dell’uomo di costruire discorsi. Negli anni Sessanta svolse pure un’intensa attività politica di protesta contro il governo del proprio paese, che si era invischiato nella guerra del Vietnam, dalla quale uscì malamente e rovinosamente sconfitto.

Torniamo alla rana bollita.

“Immaginate, racconta Chomsky, un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda piano piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare.

“La temperatura sale lentamente. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. E continua a sguazzare dentro il pentolone.

“L’acqua adesso è decisamente calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha più la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora. Fino al momento in cui la rana finisce morta bollita.

“Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua, poniamo a 50°, avrebbe dato un forte colpo di zampa e, con un guizzo, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone; e quindi fuori dal pericolo”.

Il testo di Noam Chomsky rappresenta, in forma critica, l’impoverimento etico e intellettuale della collettività. Il che porta inevitabilmente all’ingiustizia, alla disuguaglianza e, infine, alla disgregazione sociale.

A confermare l’assunto del filosofo e linguista americano, è sufficiente considerare quanto è accaduto, e continua ad accadere, nel mondo della Scuola. Il personale scolastico, per lo più apatico e indolente, se non proprio rinunciatario, lascia passare, senza reagire vistosamente e limitandosi al mugugno, provvedimenti legislativi e ministeriali che non producono il bene della Scuola e di chi la frequenta. Ciò accade un po’ dappertutto, non solo nel comparto che riguarda l’istruzione. Mi limito a citare questo settore perché ci ho lavorato per 45 anni come docente, amministrativo e dirigente.

La pratica, ormai consolidata, di manipolare le coscienze camuffata da promesse difficili da mantenere e che poi si rivelano irrealizzabili, persegue il solo scopo, sostiene Ivan Petruzzi, “…di rendere la massa inoffensiva, anestetizzata, confusa…”.

“Se consideriamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, conclude Chomsky, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva, alla quale gradualmente ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate pressoché banali, edulcorate. E oggi non ci disturbano più di tanto. O lasciano decisamente indifferenti gran parte delle persone.

“In nome del progresso e della scienza, sovente i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza e alla felicità di vivere, si effettuano lentamente e inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute”.

Per concludere, stiamo all’erta! Pronti a reagire immediatamente in presenza di cose che non ci piacciono. Eviteremo così di finire bolliti. Come la povera e ingenua rana di Chomsky.

 

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