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Giovannino Scanu ha chiuso gli occhi in Australia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Carlo Patatu   
Mercoledì 23 Agosto 2023 20:46

di Carlo Patatu

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na telefonata giunta stamattina mi ha annunciato la scomparsa di un altro amico caro: Giovannino Scanu, novant’anni, già emigrato poco più che ventenne a Melbourne, in Australia.

Sono certo che il suo nome, fatti salvi casi di omonimia, dirà poco o niente ai suoi e miei compaesani delle generazioni recenti, essendo egli trasferitosi nel Nuovo Mondo negli anni Cinquanta del secolo scorso. A me, invece, la notizia della sua morte ha procurato molto dispiacere e tristezza infinita. Come ho avuto occasione di dire in passato e in circostanze analoghe, un’altra fetta della parte migliore della mia vita è sparita per sempre ed è andata a perdersi nei meandri della memoria, ad arricchire i ricordi. Parafrasando Giacomo Leopardi, posso dire  a buon diritto che anch’io faccio parte della larga schiera di quelli che hanno breve la speme e lungo della memoria il corso. In sintesi, mi resta poco di che sperare per il futuro e molto di che ricordare. Sempre che la lucidità continui ad assistermi e non prenda altre strade.

Chi era Giovannino Scanu?

Fratello di Sergio, era figlio di Mastru Battista, provetto e stimato muratore che, fra l’altro, costruì lo scheletro al piano terra della casa che fu dei miei genitori, in via della Resistenza. La mia amicizia con Giovannino era nata sui banchi della scuola elementare, che allora funzionava al primo piano fuori terra del palazzo di Antonio Maria Schintu in S’istradone. L’aula, con l’unica finestra che si affaccia ancora oggi sulla scala che si diparte da via dell’Europa Unita, stante l’esiguità del numero degli alunni ospitava due classi, quarta e quinta messe insieme sotto la guida severa del maestro Pasquale Brau.

I maschi, allora, li si indirizzava preferibilmente ai lavori di campagna invece che a frequentare la scuola. Sorte pressoché analoga toccava alle femmine, che davano una mano per il disbrigo delle faccende domestiche e per la cura dei piccoli in casa. In quella pluriclasse io ero il più piccolo dei maschi. Tutti gli altri erano maggiori di due o tre anni. Di questi ricordo Gigino Urgias, mio compagno di banco, Giovannino Scanu, compare Ciondolo, Salvatore Pinna, Giovannino Manca, Angelino Migaleddu, Salvatore Quadu e Giuannantoni Tedde, anch’esso poi emigrato in Australia. Delle ragazze ricordo Nanna Fois, comare Titina Satta, Vittoria Budroni, Bruna Moretti e comare Carla Mannoni. Gli altri mi scuseranno.

Giovannino Scanu, che era molto bravo in aritmetica e geometria, era anche il più alto della classe. Quest’ultima dote gli aveva fruttato il privilegio, all’occorrenza, di cancellare la lavagna, un rettangolo in ardesia di dimensioni notevoli e con due facce, una tracciata a righe e l’altra a quadretti. Come le pagine di un quaderno. Era molto simpatico, occhi chiari e luminosi, capigliatura mossa e biondiccia. In sua compagnia si stava molto bene.

Finite le elementari, continuammo a frequentarci; lui fu per diversi anni manovale e allievo del padre. Che era tanto esigente quanto severo. Ma quel genere di attività gli stava piuttosto stretto, voleva mettersi in proprio e volare più alto. Tant’è che, cogliendo l’occasione di un’ondata migratoria di giovani leve dirette in Australia, s’imbarcò su un transatlantico che, dopo alcune settimane di navigazione, approdò nel Nuovo Mondo.

In Australia incominciò presto a lavorare e a guadagnare bene. Diversamente da tanti altri compaesani emigrati insieme a lui, resistette alle difficoltà che rendono dura la vita di chi va a vivere lontano dalle mura domestiche, lasciando familiari, amici e qualche simpatia di genere femminile che già gli aveva stregato il cuore. Resistette ai comprensibili e ricorrenti moti di nostalgia, amplificati dal dover vivere in un luogo dove tutto gli si presentava estraneo e talvolta persino ostile: lingua, consuetudini, odori, sapori. Tutto gli appariva diverso, il ricordo struggente della terra natia non gli dava tregua.

Continuammo a tenerci in contatto scambiandoci lunghe lettere, raccontandoci le rispettive esperienze, aggiornandoci sulle attività che ci tenevano occupati e finanche su qualche pettegolezzo paesano.

Conobbe presto Pina, giovane figlia di emigrati messinesi, la sposò e gli nacquero tre figli: due maschi e una femmina. Subito dopo il matrimonio venne in paese per farci conoscere la moglie. Quindi continuò a fare rotta per la Sardegna, di tanto in tanto. Qui, con gli amici d’infanzia, poteva concedersi il gusto dei sapori e profumi che mai aveva dimenticato: le salsicce nostrane, su casu frazigu, su cocoi, sa fae e lardu. Piccole cose che lo rendevano felice.

Ci sentivamo spesso al telefono. Durante lunghe conversazioni ci accadeva naturalmente di fare l’appello di amici e conoscenti, il cui elenco, con nostro grande rammarico, si assottigliava sempre più. Ma da qualche tempo, dopo il primo ricovero in ospedale, dialogavo soltanto con Pina, con la quale ho parlato appena tre giorni fa, apprendendo che per il mio caro amico il tempo era ormai scaduto e che dalla clinica era stato trasferito in una casa di cura, dove ha trascorso i pochi giorni che gli erano rimasti da vivere.

Rinnovo con un abbraccio a Pina e ai tre figli le mie condoglianze affettuose già espresse stamattina per telefono e le rappresento pure a Sergio, Farica e ai familiari.

Adiosu Giuanninu, amigu caru.

 

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