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Polemica fra filologi a proposito di un cognome |
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Scritto da Carlo Patatu |
Venerdì 22 Febbraio 2019 18:42 |
Un saggio di Mauro Maxia richiama l’attenzione di Paolo Maninchedda, che non ne condivide talune parti – Seguono le repliche delMaxia e di Massimo Pittau
Il prof. Mauro Maxia, anglonese di Perfugas, filologo e studioso di linguistica sarda, è titolare di una interessante rubrica settimanale sulla Nuova Sardegna, dedicata ai cognomi più diffusi in Sardegna.
Il 2 Febbraio scorso, Maxia ha trattato del cognome Maniga, descrivendone l’etimologia, le variazioni registrate nel tempo e la diffusione nei principali comuni isolani. Dopo una settimana è comparso sul quotidiano sassarese uno scritto del prof. Paolo Maninchedda, filologo e consigliere ragionale. Il quale non condivide talune tesi sostenute dal prof. Maxia. Sono seguite le repliche di Maxia e del prof. Massimo Pittau, docente emerito di linguistica Sarda all’Università di Sassari e maestro dello stesso Maxia. Riportiamo, di seguito, l’intervento di Maninchedda e le repliche sopra citate. (c.p.)
Intervento di Maninchedda sulla Nuova Sardegna del 10 Febbraio 2019
Tralasciando alcuni aspetti marginali dell’ipotesi di Maxia (ad es.: rintraccia già per il 1600 una forma Maninquedda, che è una scrittura iberica per Maninchedda, e poi asserisce che la forma attuale del cognome risale solo al 1800), il succo mi pare questo: si tratterebbe di un derivato di màniga “manica” e rappresenterebbe un originario soprannome che porta(va) il significato di “parte del telaio che entra inferiormente dietro lo stipite destro”, oppure quello di “manovella” o “piccolo manico, maniglietta”. Mi domando come un individuo potesse ricevere il soprannome da una parte del telaio che 'entra inferiormente dietro' (e già qui mi sento molto a disagio) lo stipite destro: forse perché si era specializzato nella fabbricazione di quel particolare arnese, o per una sua peculiare rigidità articolare (“rigido come un pezzo di telaio”)? Oppure, accogliendo l’ipotesi di un significato di partenza di “manovella” o “piccolo manico, maniglietta”, dovremmo pensare che l’individuo originariamente soprannominato Maninchedda o sim. si dilettasse di girare manovelle? O ancora, in questa pantagurelica ridda di ipotesi, si deve pensare a una manichetta antincendio ante litteram, sicché avrei all’origine del mio cognome un pompiere? A me pare invece assai più verosimile un’altra ipotesi, che non si faticherebbe a sposare scorrendo un buon dizionario della lingua sarda (o, meglio, un’opera sulla formazione delle parole in sardo): maninchedda, che è variante di manighedda (con una n non etimologica non rara in sardo) è un derivato da manu “mano” (così come conchighedda o conchixedda da conca, oppure canigheddu da cane) e vale “manina”. L’origine soprannominale del mio cognome si spiegherebbe facilmente in relazione a un difetto fisico del soprannominato. Alle volte, la spiegazione più semplice è, appunto, a portata di mano.
Replica di Maxia sulla Nuova Sardegna del 10 Febbraio 2019
Maninchedda fraintende che sul piano grafico la forma odierna del suo cognome, pur vigendo dal 1600 con la grafia iberica Maninquedda, è attestata dal 1800. Se così non fosse, ancor oggi avremmo Maninquedda così come Sequi per Sechi, Falqui per Falchi ecc. Come dimostrano le fonti, Manikella era un nome femminile. Questo induce a ritenerlo un diminutivo di Manica che è documentato nello stesso periodo (Condaghe di Bonarcado, 172). L’origine risale al latino manica che passando in sardo assume il significato sia di ‘manica’ sia di ‘manico’. Da manu ‘mano’ deriva invece Manos, Manus che appare solo nel 1388 (cioè due secoli dopo Manikella) e dal quale pare derivare Manedda (Sanluri 1660). Oggi manighedda e maninchedda significano anche ‘piccola mano’ così come domighedda significa ‘piccola casa’. Ma nei buoni dizionari prevale ‘piccola manica, piccolo manico’, ‘parte del telaio’. Espa registra soltanto quest’ultima definizione. Wagner cita manighedda col solo significato di ‘stipite del telaio’ (DES II, 66). Non basta essere filologi. Maninchedda, per stare sul pezzo, non sa spiegarsi che il toponimo Patata (Condaghe di Salvennor, 156), già chiarito da Virgilio Tetti, significa ‘piccolo altipiano’ come sanno bene i pastori nuoresi (vedi Sas Patatas di Lodè e Lula). Quanto ai dizionari di sardo, nel recente Manuale di Linguistica Sarda, edito da De Gruyter a Berlino, c’è un mio saggio in cui sono descritti tutti i dizionari, tra i quali ogni giorno consulto i migliori.
Intervento di Massimo Pittau: Potere e scienza
In questo quindicennio sulla sua disciplina ha scritto soltanto piccoli e poco significativi saggi. Però di tanto in tanto enuncia lapalissiani elogi del grande linguista tedesco Max Leopold Wagner, autore – fra l’altro – del bellissimo «Dizionario Etimologico Sardo», ma insieme mostra di ignorare che un docente di ‘Linguistica Sarda’ ha pubblicato un suo ‘Nuovo Vocabolario di Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico’ (NVLS, Selargius 2014) che presenta 7 mila lemmi più di quello del Wagner; che si è interessato a fondo di antroponomastica e di toponomastica della Sardegna, campi quasi del tutto trascurati dal Wagner; ormai è il linguista che ha scritto sulla lingua sarda più di tutti gli altri linguisti presi assieme. Il Maninchedda poi tratta con un “tono sguaiato e spocchioso” un suo collega Filologo, prof. Mauro Maxia, il quale è stato vincitore a pieni voti di un concorso nazionale della cui commissione faceva parte anche un membro europeo della celebre università tedesca di Heidelberg ed i cui scritti, inoltre, vengono regolarmente accolti e pubblicati da prestigiose riviste europee. Ma era ovvio che avvenisse così: chi segue la via del potere e della ricchezza, è logico che finisca col disertare la via della scienza. Massimo Pittau, professore emerito di Linguistica Sarda dell’Università di Sassari
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Ultimo aggiornamento Venerdì 22 Febbraio 2019 19:22 |