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Diario di un naufrago del Neptunia PDF Stampa E-mail
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Sabato 27 Ottobre 2018 09:50

Il transatlantico, partito da Taranto, trasportava oltre duemila soldati diretti in Tripolitania – La testimonianza diretta di un ragazzo di Udine, scampato fortunosamente al naufragio

di Livio Danelutti

Dell’affondamento del piroscafo Neptunia abbiamo già scritto in passato su queste pagine (v. 1941: l’affondamento della Neptunia). Sull’argomento abbiamo pure ricevuto tanti interventi da parte dei lettori. Riprendiamo il discorso per pubblicare una testimonianza di prima mano su quel naufragio.

Dobbiamo alla cortesia del lettore friulano Livio Cominotto, che ringraziamo, la disponibilità di un documento importante. Il diario del naufragio del transatlantico Neptunia, redatto da un protagonista di quella tragedia: il soldato Livio Danelutti, un giovane di Udine che sopravvisse alla tragedia ed anche al resto della guerra. E che, ironia della sorte, dieci anni dopo perì in un incidente stradale.

La nave passeggeri Neptunia, varata a Trieste nel 1932 ebbe vita breve. Lunga 180 metri, aveva una stazza di 19.000 tonnellate. Adibita a collegare Genova con l’America del Sud, nel 1941 fu requisita dalla Marina Militare Italiana e utilizzata per il trasporto di truppe in Africa. Fu affondata da un sommergibile inglesa alle quattro del mattino del 18 Settembre 1941 a una trentina di miglia dalle coste libiche.

Ecco il testo del diario. (c.p.)

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Partenza da Mondovì il giorno 8 Settembre 1941. Arrivo a Roma il giorno 9. Arrivo a Napoli il 10 alle 5,30 del mattino. Sosta a Napoli fino al giorno 15 Settembre.

Partenza da Napoli il giorno 15 alle ore 8,30 dalla stazione ferroviaria Campi Flegrei e arrivo a Taranto il giorno 16 alle sei del mattino. Alle otto dello stesso giorno c’imbarchiamo sulla motonave Neptunia. La sera dello stesso giorno, alle ore 19,30, incomincia la navigazione.

La prima notte navighiamo bene. Tutto procede bene. il giorno seguente pure: non c’è niente di anormale da riscontrare. La serata ci rechiamo a dormire mentre la bella nave (denominata “Freccia del Sud”) procede veloce e sicura la sua rotta.

Alla 4,20 circa del giorno 18 Settembre 1941, data memorabile, avviene l’irreparabile. Un formidabile scoppio, accompagnato da violenti scossoni di tutta la nave, ci annunzia che un siluro nemico ha colpito nel segno. Nello stesso tempo un urlo che non ha nulle di umano si alza da tutte le parti. Tutti si precipitano sui ponti della nave, poi a poco a poco si raggruppano ed attendono gli ordini, prima di agire.

La nave prosegue ancora per qualche centinaio di metri, ma poi si arresta. Ormai l’acqua ha già invaso le sale delle macchine e continua ad aumentare il suo livello. La nave incomincia a sbandare da un lato. Incominciano a scendere le prime scialuppe in mare. Si assiste allora alle scene, numerosissime, di disperazione e di paura, a momenti tragici che fanno molto male dovere assistervi.

Già tutt’intorno alla nave il mare pullula di naufraghi: c’è chi chiama la mamma, i Santi, la Madonna. E nel frattempo si lanciano in mare le zattere, molte delle quali colpiscono a morte i naufraghi. Io devo aver fatto il segno della Croce e recitato una preghiera, come del resto sempre faccio, mattina e sera. Mi calo per mezzo di una fune in acqua: sono le ore 4,50 circa. Ah! Com’è terribile il contatto con l’acqua! Non tanto per la profondità o per la posizione cui ci troviamo, ma è i pesci che si teme.

Poi, come per incanto, la calma; ma una vera e incredibile calma mi prende. Tutti i miei cari adorati, specie la mamma, mi sono presenti ed io confido nella Madonna e nella loro e mia fede.

Piano piano mi accosto a una scialuppa che si trova a fianco della nave. Mi credo quasi al sicuro, ma questa scialuppa, della capacità di circa 90 persone, ne ha già più di un centinaio e continuano a salire numerosi altri. Già comincia a inclinarsi, ancora pochi minuti e poi si rovescerà. Io, visto come stanno le cose, non esito un attimo a gettarmi in acqua e a nuoto mi allontano dalla nave, onde non essere inghiottito dai vortici.

Però come non rimango, quando, dopo una mezz’ora che nuotavo abbastanza vigorosamente, mi volto e mi vedo quasi al medesimo posto, a pochi metri dalla nave. È l’acqua che entra con violenza attraverso lo squarcio del siluro e forma una corrente che tende a portare dentro chiunque si avvicini. Chiamando a raccolta tutte le mie forze, riesco ad allontanarmi di due o trecento metri circa.

È ancora buio. Avvistata una scialuppa che raccoglie naufraghi, mi dirigo verso di essa. Però il nuotare conta poco poiché, dopo aver fatto dieci metri, un’onda mi riporta indietro di venti metri. Eppure a furia di lottare le sono giunto a venti o trenta metri. Già mi ero rasserenato e mi credevo al sicuro, quando improvvisamente essa parte perché è già carica. Allora mi dirigo verso una zattera e anche quella era carica. Nulla da fare. Lentamente sorge l’alba, il cielo prima era lattiginoso, poi si fa bello terso.

Scorta un’altra scialuppa, mi dirigo verso quella. Quanto tempo ho impiegato per avvicinarmi? Certo moltissimo, poiché il sole era già alto brillante nel cielo. Ma quando ero vicino, vidi che era eccessivamente carica e un marinaio gridava di gettarsi a mare a qualcuno, poiché, a causa delle onde abbastanza grandi, minacciava di rovesciarsi. Infatti tutto a un tratto si sente un grido e la scialuppa si capovolge. Molti rimangono affogati sotto di essa. Anche quella speranza di salvezza svanì. Tutt’in giro non si vedeva altro che naufraghi, acqua e cielo.

I miei sempre li penso, penso a mamma, che, se sapesse, guai! Finalmente un cacciatorpediniere di quelli che ci scortavano, incomincia lentissimamente ad avvicinarsi raccogliendo continuamente naufraghi. Se le mie forze non vengono meno, se la Madonna che continuamente invocavo mi assiste, forse quella è la mia salvezza.

Allora comincio la lotta contro le onde, per cercare di diminuire le distanze, con perfetta calma e con tenacia, che solo l’istinto della conservazione possono dare, lotto, lotto e finalmente (che delirio) riesco ad avvicinarmi di una trentina di metri. Ormai mi hanno visto e mi fanno cenno di resistere. Sono le ore 11 circa quando salgo sul cacciatorpediniere. Quello che provai in quel momento ancora oggi mi si stringe il cuore. Una immensa commozione mi invase, mentre in cuor mio promettevo alla Madonna di mantenere quello che mi ero impegnato.

Dunque, appena posto il piede sul cacciatorpediniere, i marinai mi spogliarono e mi portarono ad asciugare vicino a una caldaia. Caffè e sigarette non mi mancarono durante tutto il resto della traversata. Alle ore11,30, il cacciatorpediniere, ormai carico di naufraghi, partì.

Alle tre pomeridiane arrivammo in prossimità del porto di Tripoli. Un’altra grande commozione provo quando finalmente cammino sulla terra ferma, dopo le tristi vicende passate. Un camion ci attende e dopo poco partiamo alla volta di Zarra, ove arriviamo alle ore 5 circa.

Quello che io ho salvato dal naufragio è stata la miracolosa immagine della Beata Vergine delle Grazie e quella di Castelmonte, che la mamma mi diede raccomandandomi di aver fede in essa. Le scene commoventi si sono ripetute al mattino seguente, quando ho abbracciato moltissimi miei amici che io dubitavo per loro. Purtroppo non tutti ritrovati, però undici nostri camerati non sono presenti e sono pertanto da ritenersi scomparsi. Alla loro cara memoria noi porgiamo un reverente e commosso saluto.

Il giorno 28 Settembre 1941 arrivai a Zarra.

 

 

 

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