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Chiaramonti è ancora un bel paese? |
Scritto da Carlo Patatu |
Domenica 22 Giugno 2008 21:41 |
Certo che lo è. A dirlo non siamo solo noi, che ci siamo nati e ci viviamo. È nell’ordine naturale delle cose che un villaggio in collina si presenti con panorama e scorci paesaggistici sicuramente più suggestivi che nei centri abitati in pianura. Piatti e privi di orizzonte. Il nostro paesello, a cavalcioni fra Su Monte ‘e Cheja e Codina Rasa, permette una visione a 180° che spazia sulle dolci colline anglonesi, logudoresi e del Monte Acuto; ma anche sulla linea d’orizzonte (più frastagliata) disegnata dalle cime galluresi e corse. Se poi consideriamo il clima favorevole e l’aria buona... Il centro storico è un intrico di carruggi che, immancabilmente, dalla parte bassa dell’abitato conducono a quello che, alcuni secoli fa, era un castello medievale. Icona del potere civile e politico in prima battuta; ma anche di quello religioso, dopo la edificazione, sulle rovine della fortezza dei Doria, dell’antica parrocchiale. Un centro storico connotato da un’architettura povera, eppure ricco di scorci panoramici che, in talune ore della giornata (specie di sera), sono di una suggestione rara. Ebbene, confidando probabilmente nella generosità con la quale madre natura ci ha gratificati sul versante dell’ambiente, noi chiaramontesi abbiamo fatto a gara nell’impegnarci a renderlo più brutto questo posto incantevole. Amministratori pubblici e privati cittadini non sono esenti da responsabilità circa interventi urbanistici, non sempre meditati e sovente discutibili, operati in paese da mezzo secolo in qua. Claudio Coda, qualche giorno fa, ci ha posto il problema di ripensare alcuni luoghi della nostra struttura urbana. Ripensarli chiamando a discuterne gente che se ne intende e che può suggerire eventuali correttivi da apportare, e su che, per dare un assetto diverso e più dignitoso a questo bel centro collinare anglonese. Riqualificare taluni spazi destinati all’aggregazione sociale si può: piazza Repubblica, della Costituzione, Cunventu, Codinas... Ridefinire la collocazione, i modelli e l’utilizzo di talune fioriere, oltre che ipotizzare la creazione di un piccolo anfiteatro per le manifestazioni all’aperto. In breve, prima che si riprenda a lastricare freneticamente vie e piazze (ripetendo gli errori del passato), fermiamoci un po’ a riflettere. Magari chiedendo aiuto a chi sa guardare un palmo più in là del nostro naso. E cioè ad architetti e urbanisti di fama sperimentata. Sottoscriviamo la proposta di Claudio Coda e proponiamo alla Pro Loco di ragionarne insieme. Potremmo adoperarci concordemente per promuovere un convegno su queste tematiche. Da tenersi possibilmente nel prossimo autunno col patrocinio dell’amministrazione comunale. Renzo Piano, architetto genovese di fama internazionale, ama ripetere che un brano di musica pessima si può non ascoltarlo; un brutto libro si può anche non leggerlo; ma un brutto edificio non si può fare a meno di guardarlo. Ecco perché occorre mettere in campo la massima cura, per evitare di offendere la sensibilità di chi, anche non volendo, è obbligato a subire certi orrori urbanistici. Concepiti evitando di far lavorare il cervello. Al riguardo, siamo molto interessati a conoscere il pensiero del sindaco Giancarlo Cossu, del presidente della Pro Loco Sandro Unali e, manco a dirlo, dei lettori. |
Ultimo aggiornamento Giovedì 16 Ottobre 2008 22:30 |
Commenti (5)
A queste essenziali reti che rappresentano il fondamento della propria identità ha aggiunto il vicinato, che costituiva il suo mondo relazionale componente della propria identità sociale.
Ottavio ricrea così uomini ed animali nelle opere e nei giorni, immergendosi in un mondo che è presente e fa parte del suo vissuto adolescenziale e giovanile. Un mondo che abita ancora nella profondità della sua anima, ma che è scomparso nella realtà tangibile.
Tra carruggi e vicoli, piazze e patii si abbandona a custas recuidas e a custos ammentos, provando un’ineffabile emozione.
La ricerca di lavoro lo ha portato lontano, dove si è creata una nuova patria, sa patria est ue s’istat bene, dicevano i latini, ma ciò non toglie che nei sogni, che costituiscono metà del suo vissuto quotidiano, egli recuperi questo mondo scomparso, che gli permette di mantenere quell’equilibrio psichico che è necessario per la sua esistenza. Questi meccanismi della psiche sono comuni a tutti gli uomini e grazie ad essi possiamo vivere il presente ricordando il passato e proiettandoci nell’avvenire. Quando questo rapporto cade, il nostro equilibrio cede. Perciò sas recuidas sono necessarie pro sos ammentos e questi pro sas isperas. Ogni palpito del cuore lascia dentro di noi tracce indelebili.
Angheleddu ‘e sa Niera
Voglio esprimere qualcosa che sento dentro da tanti anni e che si rinnova ogni volta che vengo in paese.
Percorrendo a piedi le stradine di Chiaramonti, di giorno o di notte, ho la sensazione che qualche cosa si é fermato; i miei ricordi sono fermi al giorno in cui ho lasciato il nostro paese; ho l'impressione che le persone che ho lasciato abitino sempre lì, o forse vorrei che abitassero ancora lì, perché vorrei tornare indietro nel tempo e ritrovare le persone a me care, assaporare l'amore per mia madre, mio padre, mio fratello e tutte le persone care che non ci sono più.
Ed é cosi che, partendo dalla nostra casa paterna, immagino tia Peppa Pulina, tia Mariafranzisca Caccione, tia Buciana Cavone, tiu Gavineddu Soddu, tiu Giommaria Sale. Più giù rivedo s'ebba 'e tia Malanchedda, legata a un palo, dopo aver portato sas lamas de su latte, che tia Maria vendeva agli abitanti del quartiere e non solo. Svoltando l'angolo, mi ricordo de sa buttega 'e tia Natalina Palestro, dove ho gustato il mio primo cioccolato triangolare (gianduia); sento ancora il rumore delle seghe elettriche de tiu Eugeniu Brunu (mastru 'e ascia e no de linna) e il profumo del pane de su furru e tiu Cente Cossu, sa latteria 'e tia Lughia Palestro. Tottu custu in sa piatta 'e S'ulumu (che, quando ero bambino, mi sembrava grande come piazza d'Italia a Sassari). Svoltando per "Sa bicocca" il negozio di vestiti, scarpe e altro di mio zio Toeddu Busellu, dove ragazzo compravo i maglioni, i cui colori erano scelti da mia madre (colore 'e chijina o biaittu) colori che si addicevano alle nostre condizioni di contadini e pastori. Vi immaginate, per quei tempi, un contadino in giallo o rosso? E poi, più giù, il Comune, l'ambulatorio e sa buttega de tia Giuann'Antonia Pulina (con chiodi, viti e altro ancora); di fronte, tiu Mario Cavone (barbiere), dove per la prima volta, a oltre dieci anni, ho conosciuto il taglio a s'umberta, dopo quello classico (a zero) e a iscalinas, praticato da mio padre. E poi tia Maria Filippa Pola (che ospitava i bambini del quartiere, 20 e anche 30, per guardare la televisione); una delle rare del quartiere, più in là, tia Picciredda (trappera, "sarta"), e poi di fronte su fraile de tiu Maucciu Brundu e la falegnameria de tiu Michelinu Montesu.
Sull'altro lato, sotto il castello, tia 'Ainza Soddu (tia mia), tia Nicolina Ruiu e tiu Beniaminu Unale (muratore e non solo), e poi sa punta e su muntonarzu, il nostro luogo di divertimento; e poi il castello, sa pala 'e cheja. Tutto questo era il mio mondo, dove si parlava sardo, si incontravano sempre le stesse persone; e poi su cantaru ("fontanella"), i carri con i buoi, i cavalli, gli asini e le galline libere per le strade, sos romagliettes, ecc. ecc.
Ed ora in queste viuzze é solo silenzio. Gli abitanti non ci sono più: sono andati via o abitano in altri quartieri del paese; c'é vita (un po') solo d'estate, al rientro degli emigrati, che, guarda caso, hanno dimora nei quartieri storici di Chiaramonti.
Grazie agli amministratori che si sono succeduti, il centro storico é ben preservato, se non più la gente, restano comunque le pietre, facendoci sentire meno orfani del passato, noi che viviamo lontani e che portiamo nel cuore e nella mente, questo piccolo borgo. Infatti, da quando son partito da Chiaramonti (37 anni fa), nei miei sogni sono sempre nel nostro paese, mai ho sognato di essere in Belgio. Vivono in me due mondi: uno reale e uno astratto, ho bisogno dei due per vivere sereno, consapevole che la nostra povera e provvisoria esistenza vale comunque la pena di viverla in pieno.
Carissimi saluti a tutti.
Ottavio SODDU Mons (B)
Claudio
Per concludere, il proprio paese lo si riconosce, lo si ama visceralmente a prescindere da qualunque considerazione. Mettere in crisi l'amore per la propria terra, per le proprie radici sarebbe come tentare di distruggere la propria corporeità e la propria anima.
Fatte queste necessarie premesse si può passare ad una serie di letture del proprio paese su cui mi riprometto di tornare in un altro momento.
Questo tipo di concorsi non vengono mai banditi dalle amministrazioni comunali perché considerate delle perdite di tempo mentre a mio giudizio sono di grandissima importanza perché coinvolgerebbero la popolazione che normalmente in queste decisioni è la parte passiva mentre al contrario dovrebbe avere un ruolo principale, infatti un’opera pubblica modifica, in bene o in male, oltre che l’aspetto ambientale in cui viene realizzata anche le abitudini di vita delle persone che frequentano il posto.
Non sarebbe una cosa buona se la nostra amministrazione, cercando di coinvolgere un po’ tutti magari premiando le migliori idee, bandisse un concorso di questo genere?
Saluto tutti
Sandro Schintu
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Grazie del contributo prezioso. Cominciamo bene. Ma ne aspettiamo altri.
c.p.