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Insegnanti sottopagati: stipendiamoli come i ministri PDF Stampa E-mail
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Lunedì 23 Aprile 2018 09:20

La Scuola non è in buona salute ed è destinataria di sguardi distratti da parte della comunità, che mostra di non apprezzare compiutamente l’essenzialità del suo ruolo

di Carlo Patatu

Pagate i Maestri come i Ministri! È l’invito che Natalia Ginzburg rivolse a chi di dovere in un editoriale apparso sul Corriere della Sera il 1. Ottobre 1976. Ma, proseguiva, a condizione che non insegnino imbecillità. Dopo 41 anni, il monito resta attuale.

Sappiamo che la Scuola non gode buona salute. E che per guarirla non basta riconoscere ai docenti un trattamento più dignitoso. Ma la provocazione della Ginzburg la dice lunga sulla considerazione che la società riserva agli insegnanti. Che, invece, andrebbero collocati sui gradini più alti della scala sociale. Per esprimergli, non solo gratitudine, ma anche una rilevanza solenne, oserei dire severa, di ciò che da loro ci si attende.

Invece la comunità li guarda con distrazione e disistima, se non con malcelato disprezzo. Leggo su un quotidiano[1] che a Mantova non si affittano case a meridionali, extracomunitari e insegnanti. Che scendono di un ulteriore scalino nel declassamento sociale.

La società, e per essa chi la rappresenta in Parlamento, rivolge alla Scuola richieste sovente ambigue e incoerenti. Non tenendo conto che alunni e docenti operano nel garbuglio di disposizioni cervellotiche e in edifici anche vetusti, per lo più privi dei requisiti essenziali di sicurezza. Strutture che soltanto la dedizione di chi ci lavora contribuisce a rendere meno tristi. Pochi sanno che spendiamo una miseria per attuare, a favore del personale scolastico, aggiornamenti al passo coi tempi e degni del nome.

Chi a Scuola lavora con amore provvede in proprio ad aggiornarsi, colmando da sé le lacune dell’amministrazione. Sono tanti i docenti che, stimolati dagli impetuosi mutamenti sociali, si avviano in solitudine a battere sentieri inesplorati sul terreno della didattica e dei contenuti. Facendosi luce con la fiaccola dell’esperienza, consapevoli che la Scuola è luogo ideale per l’apprendimento. Perché non vi si pratica il solo nozionismo, ma pure la convivenza democratica, imparando a stare insieme nel rispetto reciproco e in assenza di qualsivoglia discriminazione, se non quella teorizzata da don Milani[2]. Il quale affermava che, non potendosi fare le parti uguali fra disuguali, tocca agli insegnanti dare di più a chi ha di meno.

Ai docenti, pertanto, è richiesto un impegno considerevole, dinamico, immenso. Alle loro cure affidiamo il bene più prezioso: i bambini e i giovani, il futuro dell’umanità. Soggetti fragili, facili da corrompere e rovinare irreparabilmente. Ma sono i ragazzi, e non altri, a tenere in mano le chiavi del domani. È perciò doveroso guardare con avvedutezza a chi è chiamato a educarli, a seguirne il processo formativo.

Ecco perché abbiamo l’obbligo di essere ancor più severi ed esigenti, ma parimenti grati, verso l’istituzione che ha un ruolo primario nella formazione dei nostri figli.

 

Cfr. LIONISMO, Anno XLIV n. 3, Gennaio-Febbraio 2018, pagina 12.

 


[1] Cfr. La Repubblica, 1 Dicembre 2017, pag. 24.

[2] Don Lorenzo Milani (1923-1967) priore di Barbiana e fondatore della medesima scuola.

 

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