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Filippo Budroni |
Venerdì 23 Febbraio 2018 18:50 |
Giovane chiaramontese deceduto nella guerra civile di Spagna di Claudio Coda Il 31 luglio del 1938 il decesso, sul fronte spagnolo, del giovane caporale mitragliere Filippo Budroni, poco più che ventenne.
Era nato il 22 luglio del 1917, da Filippo Budroni (fu Filippo) e Mariangela Farina (di Antonio). Lo battezzarono il dottor Gavino Grixoni e Maria Galli. Il sacerdote officiante fu don Nicola Urigo, che non era il parroco. Passata la sua prima gioventù in paese, a vivere in famiglia, si riconobbe dalle spiccate attitudini al servizio militare, come altri suoi coetanei, ed entusiasta delle notizie che arrivavano dal fronte spagnolo, aveva deciso di aderire alla causa e dare il proprio contributo “alla lotta contro le oppressioni delle sette rivoluzionarie bolsceviche al servizio di Mosca”[1] in atto in quel momento. Nello stesso periodo, tutti partecipanti attivi della politica ideologica del tempo, partirono Brozzu Antonio Luigi, Pisanu Giov. Antonio (classe 1916 !?), Sini Giovanni Maria, Carboni Giov. Maria, Satta Francesco (classe 1910 o 1913 !?) e Villa Antonio (classe 1915). Quasi tutti giovanotti e speranzosi Volontari delle Brigate Miste italo-spagnole. Altri ancora, invece, partirono volontari per l'Africa Orientale, nelle Terre dell'Impero: Murgia Salvatore, Lumbardu Giovan Luca, Schintu Antonio Maria, Spanu Gavino, Manchia Angelo, Cuccureddu Antonio ed altri ancora. Filippo Budroni da oltre un anno si trovava in terra iberica prendendo parte energica nei combattimenti del suo battaglione, sul fronte d'Aragona e del Levante. Ma anche a Gandesa[2], Santander[3], Alcaniz[4], Ternel[5], Barracas[6]. Nell'evoluzione della conquista della cittadina Viver[7], sul fronte di Valencia, Filippo, quel 31 luglio 1938, perse la vita. Aveva ventuno anni. Nel fiore di giovinezza. I suoi compaesani militi, giovani legionari, ebbero la fortuna, seppur ingrata, di poterlo accompagnare all'ultima dimora. Ma giurarono di vendicarlo. Il seppellimento avvenne nel Cimitero di Guerra della cittadina Pina, posta nelle isole Baleari. In seguito, buona parte delle salme, furono trasferite nel Sacrario di Saragozza. Ma risultavano 236, le località spagnole dove spirarono italiani. Da una fonte Agenzia di Stampa per italiani all'estero, risulterebbero 3.414 morti e 232 dispersi. A giugno di quell'anno era rientrato in paese Gavino Perinu (di Giovanni), perché gravemente ferito in combattimento ed ebbe modo di raccontare, di persona, degli episodi di eroismo da parte dei volontari italiani che “si batterono sempre da leoni, in difesa di una fede, preludio della passione e sfolgorante Vittoria finale, e Chiaramonti aveva una rappresentanza agguerrita in Spagna”[8]. A novembre rientrò anche Giovanni Maria Carboni (di Giovanni Maria) - classe1914 - ferito sulla linea di fuoco di Guadalajara[9], dopo aver sostenuto diversi combattimenti sul fronte d'Aragona e del Levante spagnolo. Anche lui raccontò storie vissute. Al giovine Filippo, nel rione Codìnas, è dedicata una via. Gli è stata conferita la Medaglia d'argento al Valore Militare; le sue spoglie riposano ancora là, in terra di Spagna. Un indizio l'abbiamo: Cimitero di Guerra di Pina. Come prima sepoltura, almeno. Sarebbe interessante se qualche chiaramontese, di passaggio nell'isola di Maiorca, andasse alla ricerca di Filippo, rapito da quel sentimento giovanile che attraversava la politica ideologica del tempo. Almeno per porgerli un fiore e un affettuoso saluto da parte della Comunità. Per il resto, come abitanti di paese, attraversiamo ogni giorno, normalmente distratti, quel tratto di strada compreso tra la via Capitano Amadio e via Capitano Cossu, ma non tutti sappiamo della breve vita di Filippo Budroni. Aggiungiamo, ora, qualche indizio in più, qualche tessera, alla microstoria paesana.
Le immagini sono dell'autore, che ringraziamo.
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Ultimo aggiornamento Lunedì 26 Febbraio 2018 19:40 |
Caro Ange,
non ho messo, minimamente, alcun dubbio che tuo babbo fosse in Spagna e non in Africa, come riportato su una pubblicazione del quotidiano l'ISOLA dell'aprile del 1938.
A rileggermi: […magari trattasi di un refuso dell'articolista...]. Un' interiezione di riconoscimento, la mia. Talvolta, tanto per chiarire, si eccede nell'enfasi, senza soffermarsi a quanto precisato. Così, l'appunto “che un padre non racconta frottole al figlio” lo trovo, un tantino, accentuato.
La curiosità, interesse piuttosto, stava nell'aver trovato, tra le migliaia di pagine -del “ventennio”- consultate, quella relativa ad un “premio natalità” offerta da Lui, il Duce. E, toh!, manco a farlo apposta, era per un pargolo chiaramontese. Che eri tu.
Il punctum della notizia, quindi, non era Spagna o Africa, ma il comunicato redazionale di un giornale a tiratura (forzata) regionale. Immaginiamo pure l'enfasi dell'articolista, che dava la notizia, e di chi la leggeva.
Come la lessi io, dopo settanta anni. Più o meno.
Il documento a cui faccio cenno è abbastanza chiaro e pure firmato da mio padre che s'imbarcò da Napoli sul piroscafo Lombardia per raggiungere Cadice, anzi, appena giunto in Spagna, essendo indisposto, lo ricoverarono nell'ospedale militare di San Fernando. Dimesso da lì andò a combattere.
Ora mio padre sapeva leggere e scrivere e parlare anche, per cui al figlio non si mise a raccontare frottole. Ho qui a casa, a portata di mano, il foglio matricolare con tutti gli spostamenti, le licenze agricole e i ricoveri. Mio padre era anche persona intelligente da capire di essere andato in Spagna e non in Africa dove finì il cognato zio Giuseppe Piras.
La fonte che citi è erronea e sicuramente di refuso si tratta. Babbo parlava della Spagna come del resto il suo foglio matricolare e zio Giuseppe dell'Africa e poi di Londra dove fu trasferito dalla prigionia africana e dove ebbe anche una figlia naturale da un'inglese, di nome Cristina. L'errore è decisamente del notista del giornale da cui hai attinto la notizia.
Certo mio padre ebbe le 400 lire come tutti i padri di famiglia dell'epoca che ebbero figli: Matteo Satta, Giommaria Lezzeri ecc. Mussolini ebbe almeno fino al 1931 il generale consenso, ma anche dopo e non c'è da meravigliarsi. Come non c'è da meravigliarsi del gran casino attuale.
Del senno di poi son piene le fosse ed è assai facile sentenziare sulle scelte del passato dei nostri nonni e padri. Dobbiamo solo cercare di capire e studiare le cause delle scelte fatte. I tempi erano quelli che erano. Per noi non condividere quelle scelte è abbastanza facile, per loro che quella storia hanno fatto è più difficile. Lo aveva capito anche Togliatti che ebbe a chiamarli compagni delle camicie nere. Infatti, molti ex fascisti, a cominciare da mio suocero e da altri coetanei divennero comunisti.
Caro Ange.
Come ebbi a comunicarti, in altra occasione, nell'aprile del 1938, Lui, proprio lui il Duce, “si era degnato” di assegnare al legionario Tedde Angelino, 400 lire, per il suo figlio nato mentre si trovava a prestar servizio in Africa Orientale Italiana.
Così è scritto in una nota giornalistica del tempo, magari trattasi di un refuso dell'articolista, quindi è da intendersi che tuo padre fosse in Spagna e non Africa. Che fossero le 15 lire, elargite, a far illuminare i legionari chiaramontesi, ci può stare; ma tutti, in egual misura, erano partecipanti attivi della politica ideologica del tempo. Almeno in paese e nessuno escluso.
Quando in paese arrivò, via telegrafo, la notizia della conquista di Madrid, il 30 marzo del 1939 in Chiaramonti, si organizzò un gran corteo di fascisti, ex combattenti, mutilati e popolazione tutta. Autorità in prima fila con bandiere e gagliardetti, inneggiando alla vittoria di Franco. Sino a tarda sera, canti e balli. Anche se il carnevale era terminato e si era in Quaresima.
Poi iniziarono, in Italia, altre "ballate". Ne avemmo, forzatamente, fino al 2 sett. del 1945.
Tra i legionari fascisti partiti in Spagna, a cinque giorni dalla mia nascita, anche mio padre Angelino senior, secondo me ben poco animato dall'amore per la patria e tanto meno per la Spagna.
Rientrò a Chiaramonti nel mese di giugno sicuramente per conoscermi, ma anche perché penso che ne avesse le tasche piene di una guerra civile terribilmente crudele e sanguinosa. Su un ponte i rojos avevano fatto fuori 12 suoi compagni e lui s'era salvato buttandosi nel fiume e restando in acqua finché la furia degli avversari non cessò. Ci rimise il sistema cardiorespiratorio e parte del sistema digerente. Non parlò mai volentieri di quella brutta guerra né tanto meno si dimostrò entusiasta del partito, almeno nel parlarne.
Sono certo che andò per racimolare qualche lira dal momento che ai legionari davano 15 lire al giorno, mentre ai giornalieri che restarono in paese davano soltanto cinque lire. Solo la classe dirigente fascista poteva dirsi entusiasta, ma non certo questi poveri fantaccini che andavano per "lavoro".
Sicuramente diedero a mia madre, essendo io il primogenito, la solita somma di denaro, e qualche lira anche da orfano riuscii ad averla anche se una parte cospicua la lasciai all'ENAOLI per non danneggiare l'adozione ufficiale di mia sorellina. Mandai a carte quarantotto la terza richiesta di documenti che mi fecero nel 1959 e dire che ne avevo particolare bisogno.
Sul campo franchista lasciarono la vita 500 mila uomini e altrettanti ne lasciarono sul campo dei rojos che poi non erano tutti tali, ma di varia ideologia. Un milione di morti costò la vittoria di Franco e naturalmente tra questi parecchi sardi.
A suo tempo volevo scrivere un contributo e mi feci mandare l'elenco dall'archivio militare e contemporaneamente feci intervistare dalle mie studentesse una cinquantina di reduci. Non so perché poi di tutto questo materiale che ho da qualche parte non ne feci più niente.
Una brutta pagina del ventennio tra tante brutte pagine.