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Immigrati molesti, violenti e… bombaroli PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 07 Febbraio 2018 12:27

Gli sbarchi di disperati provenienti dalle coste africane mettono in crisi la nostra società impaurita, fragile sul piano emotivo, con una classe politica che parla alla pancia degli elettori, invece che al cervello

di Carlo Patatu

Leggo con sgomento sulla rete e sui giornali commenti volgari e sproloqui campati in aria in materia d’immigrati. In campagna elettorale, l’argomento ha conquistato un posto in prima fila. Tante bocche parlano, poche teste pensano, ci ricordava l’altra sera in tv Francesco Guccini, citando Victor Hugo de I Miserabili.

L'Italia, lo sappiamo bene, dall'unità in poi è stata un paese di emigrazione; in un secolo (1876-1976), sono partite per altri lidi circa 24 milioni di persone[1]. Ma ce ne siamo dimenticati. O quasi. Lo sottolinea con efficacia il cantautore chiaramontese Franco Sechi in una sua canzone che esegue con successo da qualche tempo: Cando fimus nieddos nois / in d’unu chizolu cuados / timende puru ‘e faeddare, / timende ‘e imbagliare[2].

Col dovuto rispetto per gli interessati e per onestà intellettuale, dobbiamo dire che, fra i tanti galantuomini votati al lavoro e all’osservanza delle leggi, abbiamo esportato pure soggetti che non avevano la coscienza e la fedina penale immacolate. Nella stragrande maggioranza, i nostri emigrati si sono integrati in terra straniera, hanno messo su casa e famiglia e si sono distinti nel lavoro, nel commercio, nell’imprenditoria, nell’arte, nella moda, nella scienza e persino in politica. Taluni a livelli di eccellenza. Fiorello La Guardia, Enrico Fermi, Antonio Meucci, Gianni Versace, Enrico Caruso, Rodolfo Valentino, tanto per fare qualche nome.

Ma abbiamo mandato all’estero anche fior di mafiosi (i Corleone, i Genovese, i Bonanno, i Gambino etc.), assassini, ladri, nullafacenti, voltagabbana e faccendieri che non hanno mancato di creare problemi seri alle popolazioni che li ospitavano. Tant’è che, in talune città comparvero cartelli che, inequivocabilmente, avvertivano: qui non si accettano italiani. Poi, gradualmente, le cose si sono assestate e i nostri emigrati di seconda e terza generazione oggi paiono integrati al cento per cento in quei luoghi. Elio Di Rupo[3] fa testo: più volte sindaco di Mons e capo del Governo in Belgio.

Nessuna società è perfetta. Nemmeno la nostra. Ovunque c’è di tutto un po’; di bene e di male. Da queste parti si dice in dogni gianna b’hat giaos[4].

Nel 1991 l'Italia ha dovuto confrontarsi con la prima immigrazione di massa proveniente dalle coste albanesi, ben governata a seguito di accordi bilaterali. Successivamente si è messa in movimento una moltitudine di disperati dai teatri di guerra in Africa e Medio Oriente e da altri paesi dove sopravvivere (non vivere ma sopravvivere) è come fare un terno al lotto. Da qui gli sbarchi a Lampedusa e nelle coste siciliane prima; poi anche in quelle sarde. Con tutta una congerie di morti annegati e polemiche a non finire. Non sempre sensate e che si amplificano in campagna elettorale.

Il fatto è che non siamo più di fronte a un fenomeno di emigrazione; ma di migrazione. Di un esodo biblico inarrestabile, mai visto prima e col quale dovremo fare i conti a lungo. Ci piaccia o no. Pare che popoli ex colonizzati ci stiano presentando una parcella salata per certa politica coloniale miope, egoista e insensata posta in essere dall’Europa nei secoli passati. Oggi noi, in perfetta solitudine, facciamo fatica a governare gli sbarchi se non con interventi d’emergenza, sovente improvvisati e pasticciati. Messi su alla buona, con un occhio al cuore e l’altro all’affarismo.

Ed ecco il malessere montante che vuole attribuire gran parte dei nostri guai agli immigrati, imputandogli ogni nefandezza. Dimenticando che, in fatto di crimini anche orrendi e d’illeciti a tutto campo, noi italiani siamo capaci di sbrigarcela da soli, senza il supporto di chi viene da fuori.

Gli immigrati creano problemi di sicurezza e attentano alla nostra convivenza pacifica? Ma certamente. Tutto ciò che è nuovo ci mette in ambasce, in stato confusionale. Nell’immediatezza. Il confronto, che può tradursi in uno scontro, fra culture, abitudini, religioni e comportamenti assai differenti dai nostri provocano, in prima battuta, diffidenza, ribellione, rigetto. Ma il solo rifiuto non risolve il problema una volta per tutte. Come nascondere la polvere sotto il tappeto. Chi lo afferma sa di mentire. Chi ci crede è un sempliciotto, un ingenuo.

È appena il caso di ricordare che l’invenzione dei mezzi di trasporto a motore mise in crisi quelli trainati da animali. Ebbene, nella la prima fase di smarrimento e sconcerto, c’era chi credette addirittura di battere la nuova diavoleria del motore aggiungendo una o due pariglie in più alle diligenze e alle carrozze. Oggi quel disorientamento si ripete. Abbiamo i barbari alle porte e non sappiamo bene che pesci prendere, posto che nessuno di noi si sogna di sparare addosso a gommoni e barchini in arrivo sulle nostre coste.

E allora?

Credo che su problematiche di tale complessità occorra ragionare con pacatezza, invece che abbandonarsi all’emotività. Intanto dobbiamo darci una smossa e accelerare l’iter per individuare chi ha diritto di asilo e chi no. Riesce difficile capire perché mai da noi debbano trascorrere due anni e più per fare ciò che in altre nazioni si fa in un paio di settimane.

Per il resto, pare indispensabile operare in sinergia con l’Unione Europea e governare insieme (non da soli, insieme) l’emergenza; quindi predisporre, a favore dei paesi di origine delle popolazioni migranti, un vasto programma di sviluppo, da spalmare nel lungo periodo. Un po’ quello che fu il Piano Marshall[5] per la ricostruzione in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Gli immigrati, è ben vero, sovente sono fonte d’insicurezza e di conflitti sociali. Segnatamente quando, in anni di vacche magre, la torta da spartire è piccola e non può soddisfare tutti. Ma gli stessi possono rappresentare anche un’opportunità in un’Italia avviatasi a un invecchiamento irreversibile e incapace di operare da sé il ricambio necessario di forze giovani. Che sono la linfa vitale e la speranza certa per il futuro di un Paese. Tenendo presente che chi nasce oggi entrerà nel mondo produttivo solo fra una ventina d’anni o poco più. Quindi dobbiamo programmare e ragionare in termini di tempi lunghi.

Meditiamoci sopra.



[2] Quando i neri eravamo noi, appartati in un angolino, timorosi pure dì parlare e di sbagliare.

[3] Di origine abruzzese.

[4] Non c’è porta priva di chiodi, Ma oggi il proverbio andrebbe aggiornato, in quanto molti serramenti sono realizzati in PVC o altro materiale che dei chiodi può fare a meno. In ogni caso, l’adagio antico è sufficientemente esplicativo a rende bene l’idea di qual che intendo dire.

[5] Il 2 aprile del 1948 il Congresso degli Stati Uniti approvò il piano Marshall in favore dell’economia europea, così denominato per via del nome del segretario di Stato americano che lo aveva ispirato.

 
Commenti (2)
Emigrazione e Piano Marshall
2 Giovedì 08 Febbraio 2018 15:59
Giommaria Pulina

Concordo in pieno con quanto detto da Carlo.


Mi limito a fare qualche osservazione sul "Piano Marshall" che io ho vissuto in prima persona e per il quale (cosa che è accaduta poche volte nella mia vita) sono sceso in piazza non solo per difenderlo ma per sollecitarne l'esecuzione.


In quegli anni del dopoguerra ero a Roma studente di ingegneria e alla sera, dopo cena, andavamo in Galleria Colonna dove si formavano decine di capannelli all'interno dei quali si dissertava sulla opportunità di accettare o rifiutare questo Piano che prevedeva degli aiuti all'Italia sotto varie forme per accelerarne la rinascita.


Contrari in assoluto i comunisti di allora, per la maggior parte idolatrati da Stalin che da loro era ritenuto il Dio in terra senza rendersi conto di cosa fosse quella dittatura e senza volersi accorgere che la maggior parte dei paesi dell'Est già erano stati trasformati in ubbidienti satelliti. Una frase che si sentiva spesso era molto simile a quella scritta dal sig. Puggioni "un piano Marshall per l'Italia potrebbe favorire solo tiranni e dittatori e arricchire ancora di più i profittatori di guerra".


Perché loro ritenevano i Paesi dell'Occidente quelli della "democrazia plutocratica e reazionaria dell'Occidente" di mussoliniana memoria. Non credevano, come invece fu dimostrato dalla Storia, che quel Piano Marshall era ispirato e sostenuto dalle migliaia di italiani emigrati (primo tra tutti Fiorello La Guardia), che, come unico scopo, avevano quello dare senza nulla chiedere e fu una corsa bellissima in tutto il mondo in tale senso. (Detto per inciso il Piano ufficialmente era dato come un prestito ma credo che sia stata assai poca la parte restituita).


Io conservo ancora i quaderni sui quali prendevo appunti durante le lezioni all'Università sulle cui copertine ancora leggo con commozione "From the Children of Canadà" e che ci venivano dati gratuitamente perché in Italia scarseggiava la carta.


Col Piano Marshall non arrivò soltanto grano e carne ma anche libri di vario genere in lingua italiana stampati nelle tipografie di New York o di Boston. Ebbene, se noi lo imitassimo e ne organizzassimo uno per alcuni Paesi africani, il flusso di immigrazione in breve tempo diminuirebbe notevolmente.

Migranti
1 Mercoledì 07 Febbraio 2018 20:52
Bruno Puggioni

Analisi perfetta che condivido solo in parte.


Dalla tua analisi sembra che dovremmo rassegnarci alla migrazione epocale. Ebbene, io non voglio rassegnarmi. Certamente se i black dovessero presentarci il conto per tutto quello che hanno subito e continuano a subire dalle potenze occidentali, non basterebbe tutto l'oro del mondo per ripagarli. Penso a quando, ridotti in schiavitù (con la complicità degli arabi), sono stati trasferiti nelle Americhe. Penso al colonialismo, quando le potenze occidentali hanno depredato le loro terre. E penso ad oggi, costretti a migrare, scappando da guerre o nella speranza di un futuro migliore.


Tuttavia credo che ogni nazione abbia il diritto - dovere di programmare il proprio futuro e in questa programmazione debba rientrare anche il controllo dei propri confini. Ricordiamo sempre che l'emigrazione in America è stata sempre controllata e a quel tempo l'arrivo della manodopera era fortemente incentivata. In Belgio addirittura abbiamo scambiato manodopera con carbone.


Anche i Romani controllavano perfettamente il loro limes e, quando necessario, solo quando necessario, aprivano i cancelli. Potevano benissimo evitare quella migrazione epocale nei territori dell'impero, ma, essendo, in quel tempo, una civiltà in forte decadenza hanno sottovalutato il problema.


Riguardo ai migranti di oggi, bisogna riconoscere che non sono certamente come quelli raccontati da Steinbeck in "Furore" (1939). Quelli erano armati da una disperata volontà di trovare lavoro e, quando comunque sfruttati, riuscivano a trovare quel bene, erano disposti a tutto pur di non perderlo. Perché il lavoro dava senso allo loro esistenza.


Non vedo questa volontà nei migranti che sbarcano quotidianamente nelle nostre coste. Non è colpa loro, ma nostra, che non siamo stati in grado di veicolarli verso una convivenza che si fonda su diritti, ma anche su doveri. A rendere complesso il problema c'è il sogno segreto dell'Islam di dominare il mondo, non dobbiamo mai dimenticarlo. Le argomentazioni sarebbero tante, e non sarebbe sufficiente la memoria del IPad per contenerle, pertanto mi fermo qui, precisando comunque che non vedo opportuno un piano Marshall per l'Africa , che potrebbe favorire solo tiranni e dittatori, ma necessaria una operazione culturale (?) volta a far capire che nel pianeta siamo già tanti e che non è più tempo di dodici figli per coppia.


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Caro Bruno, anch'io condivido solo in parte le tue argomentazioni. Non sarà per te una novità. Sappiamo bene, entrambi, come la pensiamo sul problema immigrati.


Mi limito pertanto a sottolineare che i Romani (quelli dell'Impero, intendo dire) ponevano dei limes a terra, dov'era e dov'è più facile controllare il territorio. Oggi, con mezzi da sbarco diversi da quelli dell'era imperiale romana, le nostre migliaia di chilometri di coste sono assai vulnerabili e scarsamente difendibili.


Non mi arrendo a un'inevitabile islamizzazione dell'Italia. Come pure so bene che gli immigrati africani giungono qui con scarse capacità operative e, forse, con poca voglia di fare. Ecco perché credo in un novello Piano Marshall che, com'è accaduto per l'Europa, ha operato anche sul piano culturale. Con risultati, non sempre brillanti, devo ammettere.


Continueremo la discussione in occasione della prossima cena. (c.p.)


 

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