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Chi era Giorgio Falchi? – parte II |
Martedì 30 Agosto 2016 00:00 |
Un cronista d’eccezione che racconta fatti e fattarelli accaduti a Chiaramonti, e non solo, negli anni a cavallo fra l’800 e il ‘900 di Carlo Patatu
Il “villaggio” di Chiaramonti, a quel tempo, contava poco meno di 1.700 abitanti ed era costituito da case basse, di fattura modesta e addossate, per lo più, alle pendici del colle San Matteo. “Su Monte ‘e Cheja” per la gente del luogo. La popolazione era formata in prevalenza da gente povera, dedita soprattutto alle attività di campagna. Rotta a ogni fatica, era rassegnata a subire angherie e vessazioni da chi, per una ragione o per l’altra, teneva saldamente in mano le leve del potere. Legale, tradizionale o carismatico che fosse[1]! La comunità chiaramontese stentava a crescere di numero (il tasso era appena del 9,5 per mille), sebbene si registrasse un indice di natalità considerevole: 38 per mille abitanti nel 1834[2]. Il fatto è che anche la mortalità era molto elevata: 28,5 per mille abitanti[3]. La gente se ne andava all’altro mondo, mediamente, prima dei cinquant’anni! Fatiche, privazioni, condizioni igieniche sempre precarie e malattie curate male, o non curate affatto, erano di ostacolo all’allungamento della vita media. La mortalità infantile, che pure toccava picchi di tutto rispetto, in quel contesto rappresentava pressoché la normalità. Ci si rassegnava alla volontà del Signore. Di quello che sta nei Cieli, ovviamente. Le strade interne del paese, più spesso anguste e prive di selciato, si snodavano con andamento tortuoso da “Su Monte” lungo il declivio sottostante, per lasciare quindi spazio alla campagna, ricca di boschi e di selve intricate, nei rioni periferici di “Sa Niera”[4], “Littu”[5], “Caminu ‘e Cunventu”[6], “Carrela ‘e Cheja”[7], Pala ‘e Chercu”[8]. In breve, il paese finiva là dove ora sorgono (ma all’epoca non c’erano ancora) la dimora del parroco, la vecchia caserma dei Carabinieri, il palazzotto dei Madau e le case, quasi tutte basse, che cingevano a valle l’oratorio di Santa Croce. Sulla cui area sorgerà successivamente la nuova chiesa parrocchiale, consacrata in forma solenne nel Settembre 1888 dall’arcivescovo turritano mons. Diego Marongio Delrio. I dati raccolti col censimento del 1911 ci offrono un panorama significativo della povertà in cui viveva e operava la gente in quel periodo. Soltanto due alloggi avevano più di cinque vani; appena 15 ne avevano quattro, 36 ne contavano tre e 97 disponevano di due soli ambienti. Erano invece 44 quelli che oggi chiameremmo “monolocali” e che a quel tempo erano utilizzati come spazi multifunzionali: vi si trascorreva la giornata cucinando i cibi in un focolare senza camino, posto in posizione centrale. Vi si lavorava anche, se il capo famiglia era falegname o calzolaio. Di notte ci si dormiva dividendone lo spazio, peraltro sempre angusto, più spesso col maiale e con le galline; talvolta persino con l’asino. Lasciare quelle bestie esposte alla “pubblica fede” non era per niente raccomandabile. Nemmeno oggi lo é, a dire il vero. Delle 325 abitazioni censite, 131 si presentavano col solo piano terreno; 194 con anche un piano rialzato[9]. Un villaggio modesto e poco importante, dunque. Che nemmeno il conte Alberto Della Marmora ritenne di visitare durante il suo viaggio in Sardegna[10], essendosi limitato a descriverlo da lontano, passando per Martis e diretto a Tempio Pausania. Quel viaggiatore attento e curioso non mancò, tuttavia, di registrare che “...il villaggio di Chiaramonti, così nominato senza dubbio per la sua posizione, in cima d’una cresta, che domina da una parte la vallata di Martis e dall’altra la regione del Sassu ed i dintorni di Ozieri. La chiesa parrocchiale dedicata a San Matteo è fabbricata sul perimetro d’un antico castello del medio evo che ha trasmesso il suo nome al villaggio attuale, ma quello è sparito. (...) Chiaramonti era conosciuto, ora un secolo, per causa d’uno dei suoi abitanti appellato Giovanni Fais che all’età di 15 anni aveva commesso un omicidio a Nulvi, ed indi divenne bandito terribile. Esso fu ucciso a tradimento all’età di 75 anni; nei 60 anni che menò la vita di bandito, e di capo quadriglia, non fece altro che spargere il terrore nel paese e bagnarsi le mani del sangue dei suoi compaesani e dei soldati reali. Il principale suo rifugio era l’altipiano scabroso e selvatico detto il Sassu…”[11]. Che é stato a lungo teatro di omicidi efferati e di vicende banditesche.
II – continua
Cfr. CARLO PATATU, Chiaramonti – Le cronache di Giorgio Falchi, Un cronista d’eccezione. Giorgio Falchi, ed. Studium, adp, Sassari 2004, pagg. 59-83. [1] Cfr. MAX WEBER, Economia e Società, Edizioni Comunità, Milano 1974, volume I, p. 210. [2] Cfr. GIOVANNI CARMELO MARRAS, La scuola elementare a Chiaramonti dal 1904 al 1915: edilizia, maestri, alunni. L’istruzione primaria dal 1869/70 al 1911/12 negli archivi del Comune e della Scuola Elementare. Tesi di laurea. Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Magistero, a.a. 1994/95, tavole 33 e 34. [3] Cfr. GIOVANNI CARMELO MARRAS, La scuola elementare a Chiaramonti dal 1904 al 1915: edilizia, maestri, alunni. L’istruzione primaria dal 1869/70 al 1911/12 negli archivi del Comune e della Scuola Elementare. Tesi di laurea. Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Magistero, a.a. 1994/95, tavola 32. [4] Rione posto sotto il mulino a vento di Codina Rasa, con le abitazioni rivolte a Nord. Da qui il toponimo Sa Niera; e cioè ghiacciaia, forse riserva o deposito di neve ghiacciata a disposizione della comunità. [5] L’attuale via Grazia Deledda, nella parte compresa fra l’incrocio con la via Dante e l’innesto nel viale Marconi. [6] Oggi via Carmelo. [7] La via San Matteo che, all’epoca, finiva in aperta campagna. [8] Quel rione che confina con la via Monte Grappa, un tempo più nota come Sa Pigadorza (la salita) per la pendenza molto marcata. [9] Cfr. GIOVANNI CARMELO MARRAS, La scuola elementare a Chiaramonti dal 1904 al 1915: edilizia, maestri, alunni. L’istruzione primaria dal 1869/70 al 1911/12 negli archivi del Comune e della Scuola Elementare. Tesi di laurea. Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Magistero, a.a. 1994/95, tavola 22. [10] Cfr. ALBERTO DELLA MARMORA, Itinerario dell’Isola di Sardegna, tradotto e compendiato dal can. Spano, volume II, Cagliari 1868, p. 670. [11] Cfr. ALBERTO DELLA MARMORA, Itinerario dell’Isola di Sardegna, tradotto e compendiato dal can. Spano, volume II, Cagliari 1868, p. 670-71. |
Ultimo aggiornamento Lunedì 29 Agosto 2016 09:20 |