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La Porta Santa |
Martedì 08 Dicembre 2015 17:52 |
Come ricevere l'indulgenza plenaria qui vicino di Claudio Coda
Perché partire a Roma, con tutto il caos che si creerà con il Giubileo straordinario, quando possiamo fare un salto qui vicino? A Ploaghe, la Porta Santa. La si può vedere, ma non... attraversare (forse l'indulgenza potrebbe arrivare dall'intenzione) nella chiesa di San Michele del villaggio di Salvennero / Salvenero / Salvenor.
Chiesa di stile romanico-pisano, dei primi del XII sec., subì un rimaneggiamento nel XIII e un altro, “arbitrario” restauro, nel 1912. Aggiunto restauro conservativo qualche anno fa.
le particolarità degli elementi costruttivi presenti, la porta, dalle linee abbastanza semplici, inserita nel perimetro destro di navata e rivolta verso sud-sudest che veniva utilizzata solo in particolari momenti liturgici.
L'attuale muratura di chiusura nel restauro del 1912, ma ai primi del '900, si raccontava, il muro della porta era brecciato abbastanza per consentire riparo a pecore e pastori, nei diversi periodi dell'anno.
Non tutti sanno di questo particolare elemento, difatti, chi visita il sito rimane certamente incantato dall'insieme dell'involucro murario, vissuto, sin dai tempi, dai monaci dell'Ordine dei vallombrosani e nostri vicini del villaggio camaldolese di Órria Pithìnna.
Un vero danno all'informazione, che sarebbe giunta con un cartello esplicativo, per comprendere ciò che si sta visitando.
La sua “dignità” è citata in documentazioni risalenti il XVI secolo e anche prima.
Anni addietro mi ero soffermato su un articolo di monsignor Antonio Virdis, già direttore del settimanale cattolico “Libertà”.
un suo articolo, apparso il 3 luglio 1984, precisava che, l'elemento architettonico in argomento inserito nel perimetro murario, fosse la Porta Santa. Medesimo parere lo aveva espresso il ploaghese canonico Spano[1] nell'Ottocento.
Recenti studi, e ipotesi diverse da queste, arrivano da “Il rituale di Aperture della Porta Santa di S. Michele”.[2] ove si indica, piuttosto, la porta sul lato opposto, a sinistra di navata. Rispetto all'altra (la testimonianza dello Spano e Virdis - a mio parere, l'elemento è più austero anche per le dimensioni) questa risulta essere ridotta e semplificati i decori architettonici.
L'Abate di S. Salvennero, Adriano Ciprari, volendo conoscere la storia della sua nuova sede - governata dal 1585 al 1606 - fece ricerche nell'archivio storico del suo Ordine trovando carte risalenti al XIV sec. In queste, riferimenti al “Modus aperiendi et claudendo Porta Sanctam di Santi Michaelis de Salvenere e Sancte Mariae de Seve Opiti de Banari“. Visto l'interesse della documentazione ne fece stampa datandola 19 settembre 1600. In contemporaneità del Giubileo indetto da papa Clemente VIII.
Un passaggio del documento: “ [...] Die 28 Mensis Septembris in vigilia Dedicationis post meridiem parata Cathedra ad dexteram altaris majoris, et alia Cathedra extra Ecclesiam ad dexteram Portae Sanctae aperiendae hora vesperorum, Venerabilis Pater Abbas indutus pluviali cum mitra, et baculo, Praesbyteris paratis, cum Monachis et Maioribus civitatis Plovacae[3], Gisarchi et Claramontis, cum Maioribus Villae de Salvenere, de Agustana, Ardara, Cotrognano, Carieke, Fiolinas, Muros, Noaja, Ottigieri, Nuketo, Nulvi, Puteimajoris, Icteri de Canneto, Villanovae, Bedas, Moras, Thuris alba, Iunki, Bonnannari, Bessudi et aliis maioribus convincinarum villarum [...]”.
Da notare che non sono presenti le civitas e le villae di Osilo, Sassari, Sorso e Sennori. Queste gravitavano su Santa Maria di Scalas (o Iscalas – Osilo - ordine camaldolese); Santa Maria di Tergu (Tergu - ordine cassinese); San Michele de Plano (o Plaiano – Sassari - ordine camaldolese).
Nel documento si indicava non solo la liturgia d'apertura (alla presenza di ospiti provenienti dalle civitas - rappresentate dai maiores - che precedevano quelli delle villæ) ma anche il rigore di un cerimoniale.
Era l'Abate e non il vescovo turritano ad aprire la cerimonia. La diocesi di Ploaghe era rappresentata dall'Arciprete. Non ho indicazione del clero della civitas Claramontis perché i registri parrocchiali, pervenuti, partono dal 1657 con il parrochus doctor Accorrà rimasto qui sino al 1704, poi sostituito dal sacerdote Giovanni Gavino Fara (1704-1710).
Sempre in quel documento si descrive l'abbigliamento dei maiores de civitas che impugnavano “bacoli dorati con fasce rosse”. Mentre i maiores de villa impugnavano “bacoli argentati rivestiti con drappi rossi”.
Tutti i primi cittadini si fregiavano, sul petto, d'una croce rossa in campo bianco. Era prestabilito un preciso diritto di precedenza, pertanto i primi a varcare la soglia era l'Abate di Salvennero, poi le città di Ploaghe e Chiaramonti. Al seguito gli altri villani.
Devo dedurre che, al tempo, Chiaramonti in quel documento era indicato come città e non villa.
Altra tesi che attesterebbe l'importanza della civitas Claramontis vissuta nel basso medioevo: il Virdis faceva notare che rispetto alle riconosciute civitas di Ploaghe e Gisarco - antiche sedi episcopali - lo era anche Chiaramonti perché già nel XIV sec. si parlava di “castrum e civitas claramontana”. Aggiungeva poi che, sino ai primi del '900, sul frontone della vecchia chiesa in su monte di S. Matteo si leggeva: “Ecclesia episcopalis S. Mattei”. Quindi sede episcopale con la presenza del vescovo.
Non ho mai saputo di questa epigrafe e, nel caso in cui fosse davvero esistita, sarà finita nella muratura di qualche costruzione del centro storico o muro di contenimento. Ma con l'iscrizione rivolta all'interno per non dichiararne la provenienza.
Invece, a conferma della derivazione, altri blocchi con segni lapidari sono ben evidenti in facciata in diverse abitazione del centro storico.
Perciò, stando alla storiella, abbiamo buon diritto di precedenza nel varcare la soglia della Porta Santa e lo faremo accompagnati dal nostro Sindaco in “bacolo dorato con fasce rosse” e “una croce rossa su campo bianco” sul petto.
Subito dopo i ploaghesi, però!
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Ultimo aggiornamento Venerdì 08 Gennaio 2016 20:17 |
Riporto una nota di mons. Antonio Virdis (Curia turritana), apparsa sulla rivista Libertà -di cui era direttore- del 20 luglio 1984, in riferimento a quanto in argomento:
[…] “ Per spiegare questi “particolari” si possono certamente fare varie ipotesi, anche attendibili. Si può tenere presente, ad esempio, che Chiaramonti fu, sotto i Doria, capitale di una ampia zona che comprendeva anche Gisarco (ndr. Bisarcio), e che nei sec. XII e XIII il domicilio dei Vescovi di Gisarco fu abbastanza precario.
Se risultasse vero, tra l'altro, che Castello e Chiesa di S. Matteo furono edificate nello stesso periodo -come almeno riferisce una certa tradizione locale- non è improbabile dedurre che il fatto “politico” abbia potuto influire per determinare (o addirittura) la presenza di un qualche vescovo e/o la concessione (privilegiata) del titolo di città alla Villa e di episcopale alla chiesa di Chiaramonti “ […].
I “particolari”, sopra citati nel testo, sono riferibili a: “ecclesia episcopalis S. Mattei” (epigrafe in frontone della chiesa di S. Matteo) e “ castrum et civita claramontana”.
Che la “storia infinita” claramontana sia ora raccontata attraverso i Doria, Giudicati, Aragonesi, e di nuovo i Doria, in custodia all'Arcivescovo di Oristano, papa Innocenzo VI, marchesati vari e... l'ager sanguinis, sarebbe troppo per soffermarsi. Ma brevemente, da ultimo e per alleggerire l'argomento, riporto una curiosa annotazione parrocchiale di don Pietro Dedola (parroco dal 1931 al 1951):
[…] “ non si conosce il tempo e per quali motivi (forse per riparare alla vita scandalosa di Matteo Doria) la fede del popolo di Chiaramonti edificò sui ruderi del Castello la chiesa parrocchiale dedicata a S. Matteo Apostolo ed Evangelista” [...]. Che abbia interpretato, e colto a modo suo, dopo secoli, il "voto" dei claramontani è assai probabile !
Per vicarius provisional-is si intendeva vicario provvisorio, a tempo, (a Chiaramonti abbiamo avuto tre parroci in un anno e mezzo circa: don Sini, don Sanna e don Bastianino) quello perpetuus era il vicario stabile, diciamo, rubando un termine scolastico, di ruolo.
Don Tirotto è ora amministratore non temporaneo come gli altri tre.
Da notare che la Parrocchia di Chiaramonti, quando si facevano i concorsi, non era a concorso ma di nomina vescovile. Circa il termine episcopalis, nei classici storici della Chiesa Sarda: Martini, Filia, Turtas Chiaramonti non figura mai sede episcopale. Vedi la cronotassi dei vescovi in internet http://www.google.it/search?hl=it&source=hp&biw=&bih=&q=Cronotassi+dei+vescovi+sardi+in+Turtas&gbv=2&oq=Cronotassi+dei+vescovi+sardi+in+Turtas&gs_l=heirloom-hp.3...3034.22843.0.24098.38.1.0.37.37.0.16.16.1.1.0....0...1ac.1.34.heirloom-hp..37.1.15.yNzLFF9TWxs
Ma più chiaramente nella monumentale opera di Raimondo Turtas, La storia della Chiesa in Sardegna dalle origini ad oggi, Città Nuova, Roma 1999 pp. 978 ora in fase ultima di revisione, penso che verrà ripubblicata tra qualche anno. Turtas locutu, causa soluta!
Se, tuttavia, ci si vuol prendere il gusto di andare alla ricerca di episcopalis, sono disponibili le relazioni dei vescovi presso l'Archivio Storico Diocesano di Sassari, Mons. Zichi si è detto disponibile ad esaminare con chi lo desidera le relationes dei vescovi ad limina Sancti Petri.
Chiedo scusa per l'intervento in ritardo. Ero assente e senza Mac.
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Non è necessario scusarsi. Chiarimenti e integrazioni sono sempre i benvenuti, non giungono mai troppo tardi. Grazie, pertanto. (c.p.)
Non era la "consuetudine" rivolgersi al parroco con l'appellativo "su vicàriu", erano gli stessi a sottoscriversi così. Il titolo di “vicario” nella parrocchia di Chiaramonti, già nell'800. Nel 1840, nei giorni di fine maggio e primi di giugno, nell'Oratorio di S. Croce, l'arcivescovo turritano Domenico Varesini impartì la cresima a 419 chiaramontesi. Nella cerimonia, l'allora parroco Ignazio Satta (dal 1834 al 1858), si firmava “ R.do Ignatio Satta Florinensis vicario provisionali”. Negli anni a seguire: “Ignatio Satta vicario perpetuo”. Il carmelitano Stefano Maria Pezzi (dal 1859 al 1892) si sottoscriveva prima come “provisionali vicarius”, in seguito “vicarius”. Aggiungo: nella visita pastorale che fece il vescovo di Ampurias (1702-1718) Diego Serafino Posulo, indicava “opidi Claramontis” (con una p). In latino “oppidum” viene indicato come “città”, ma anche fortezza, luogo fortificato. La vicenda più misteriosa, per me comunque, rimane la “scomparsa” del concio con la scritta “Ecclesia episcopalis S Mattei” sul frontone di facciata della S. Matteo nella collina omonima. Da qui, senz'altro, l'elevazione episcopale del territorio di Claramontis, con la presenza dell'alter ego del vescovo a far le funzioni e rappresentarlo. Appunto “vicarius”. Questa mia, vorrei fosse letta con indulgenza e con beneficio dell'inventario !
Ora non ricordo la bibliografia, ma mi pare d'aver letto che uno dei titoli dell'Arcivescovo di Ampurias (1638-1704) e poi di quello turritano (1707) fosse quello di Claramontis parrocus e con ciò si potrebbe spiegare il titolo di Vicarius che per consuetudine veniva dato al parroco di Chiaramonti. Come pista di ricerca sulla bibliografia ecclesiastica non sarebbe male. Forse però Mons. Giancarlo Zichi o la serie di volumi pubblicati qualche anno fa sulle diocesi italiane potrebbe chiarire la questione. Credo poi che Papa Francesco dando la facoltà ai vescovi di indicare in diocesi due porte sante in cui lucrare l'indulgenza, senza contare le carceri abbia dato un'opportunità di lucrare l'indulgenza senza andare a Roma. Per quanto riguarda l'abbazia di Salvennor so soltanto che attualmente non officiata.
Ange de Clermont