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A Chiaramonti c'era un giardino... pubblico PDF Stampa E-mail
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Martedì 22 Settembre 2015 00:00

La condizione di degrado miserevole del fazzoletto di verde in piazza Repubblica – Una proposta operativa, concreta e a costo zero

di Carlo Patatu

 

Apro il Dizionario Enciclopedico Treccani e, alla voce “giardino”, leggo: “Terreno, per lo più cinto di muro, steccato o cancellata, coltivato a piante ornamentali e fiorifere, destinato a ricreazione e passeggio...”.

Do uno sguardo al giardino comunale di piazza Repubblica e riscontro che il terreno c’è e la cinta muraria pure; ma di fiori e piante ornamentali non ne vedo proprio. O meglio: qualche pianta che ha la pretesa di esserlo, ornamentale, c’è; però è talmente malconcia da sembrare l’ombra di quella che doveva essere. Nel tempo che fu.

Il nostro giardino pubblico nacque, nella seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento, ampliando quello che, in origine, era il Parco delle Rimembranze, inaugurato unitamente al monumento ai Caduti nel 1927.

Accogliendo il suggerimento del segretario comunale Tottuccio Galleu, il sindaco Nino Brandano chiese al perito agrario chiaramontese Nino Maccioco di redigere il progetto del giardino (gratis), disegnandone i riquadri verdi e i viali. Alcuni decenni più tardi, quei viali furono lastricati malamente con orribili mattoni di cemento. Un vero insulto al buon gusto!

Nel corso degli anni, quel fazzoletto di verde subì varie e non sempre felici manomissioni. La vasca ne è un esempio eloquente. È il caso di dire che il giardino ‘cadde, risorse e giacque’[1]. Conobbe la recinzione a reticolato, a cancellata e a muretto. Vi fece capolino anche il filo spinato.

Quell’area, che ora ‘giace’, conobbe tempi migliori, incorniciata da splendide siepi di ligustrum, pitosforo e cipresseti che delimitavano gli spazi verdi. Il tutto punteggiato da macchie multicolori di piante fiorifere (rose, garofanini cinesi, tulipani, fresie, gerani, margherite, dalie, petunie, etc.) il cui profumo si spandeva tutt'intorno. Una delizia per vista e odorato.

Niente cani a razzolare e defecare fra il verde. Niente biciclette a fare slalom lungo i viali e non solo. Niente palloni a rimbalzare per ogni dove. La guardia municipale e il giardiniere osservavano con occhio severo quanto vi si svolgeva. Intervenendo con segnalazioni all’Amministrazione e multe salate per sanzionare comportamenti non consoni.

In assenza di quegli occhiuti e severi custodi, c’erano i vecchietti che, occupando le panchine per godere della quiete ristoratrice offerta dal sito, non mancavano di sgridare chi si azzardava a cogliere un fiore, abbandonare rifiuti o disturbare i pesci rossi che nuotavano nella vasca dribblando agilmente le ninfee bianche e rosse.

Oggi di quello splendore resta il ricordo sbiadito soltanto nella mente dei più anziani.

Le siepi furono rimosse dal Comune negli anni Novanta e senza che alcuno sia ancora riuscito a comprenderne la ragione. Di fiori non c’è nemmeno l’ombra. Non uno solo. Il prato risulta abbondantemente spelacchiato da calciatori in erba che si contendono il pallone. Talune piante, sulle quali i ragazzi fanno banzigallella penzolando dai rami nemmeno robusti, mostrano ferite vistose. I viali sono percorsi da mini ciclisti costantemente in gara.

In breve: per gli anziani, ma anche per i più piccoli, il giardino è divenuto un luogo dove stare all’erta, anziché tranquilli.

C’è qualcuno, in Municipio, che vuole prendersi a cuore le sorti di quell’area?

Sono dell’avviso che si potrebbe rimetterla in sesto, riportandola agli antichi splendori. A costo zero. Basterebbe chiamare a raccolta i cittadini di buona volontà (che non mancano), invitandoli a prestare gratuitamente qualche ora di lavoro o a donare piante ornamentali e fiorifere. La Forestale sarebbe ben lieta di regalare le piantine per ricostituire le siepi. Come già fece in passato.

Animo, dunque!

O forse siamo capaci solo di organizzare sagre e feste con contorno di abbuffate? No, non lo credo. Confido, invece, nella sensibilità dei miei compaesani. Che, in materia di volontariato, hanno fatto cose egregie. Ieri e oggi. Sono certo, pertanto, che quanto propongo potrà farsi. Presto e bene. Magari coinvolgendo pure la Scuola.

Ecco perché io continuo a sperare, dichiarandomi disponibile a fare quel che so e posso.

Anche se mi rendo conto che chi vive sperando...

 



[1] Cfr. ALESSANDRO MANZONI, Il cinque Maggio.

 

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