Una bella poesia in limba dell’isilese Pedru Mura, tradotta in italiano e commentata a cura di Salvatore Patatu ---
Pietro Mura è un poeta di Isili (Nu), scomparso nel 1966. Artigiano molto conosciuto ed apprezzato in Sardegna, è una delle figure più rappresentative della poesia sarda contemporanea.
Il suo stile è originale, vigoroso, moderno. Il suo linguaggio lirico felicissimo ed incisivo. Il prof. Nicola Tanda ha pubblicato il libro “Poesias d’una bida” (Poesie di una vita), in cui sono contenute le sue migliori poesie.
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L'hana mortu cantande de Predu Mura L'hana mortu cantande chin sa cantone in bucca. E mi l’han accattau in s’andala predosa ocros a chelu chin su fror’e sa morte isptart’in fronte. Fit solu chin su frittu e chin sa malasorte; chin su bentu mossendeli sos pilos e in artu sa luna, pompiande. Non l’hat cubau nemancu su dolu. Sos mortores fughios che umbra mala, los hat bidos su ribu. E sos seros de luna cando dormin sas pedras si sedet a contare in segretesa a isteddos e nues comente l’hana mortu. Est ruttu chen’ischire d’aer viviu; chen’ischire de morrere; l’hana mortu cantande chin sa cantone in bucca. Traduzione Cantava, quando l’uccisero, con la canzone in bocca. Fu trovato nel viottolo pietroso, occhi al cielo, e col fiore della morte aperto sulla fronte. Era solo col freddo e con la malasorte, mentre il vento gli mordeva i capelli e dall’alto, la luna guardava. Nemmeno il dolore lo celò. Gli assassini fuggiti come ombre infernali, solo il fiume li ha visti. E nelle sere di luna, quando pur dormon le pietre, si ferma in segreto a narrare alle stelle e alle nubi, come lo uccisero. Cadde ignorando d’aver vissuto; senza sapere di morire. Cantava, quando l’uccisero, con la canzone in bocca. Commento
La poesia propone una profonda riflessione su un tema che costituisce un male ancestrale della nostra terra: le faide. Una riflessione amara sull’odio atavico e sulla totale assenza di pietà per la giovane vita di un uomo, lontano dall'essere considerata, in senso cristiano, come dono divino. La poesia mette in risalto la scarsa considerazione di cui gode questo dono incomparabile che è la vita, da parte di questa società arcaica. La totale assenza di pietà, intesa nel senso classico del termine, l'assoluta mancanza dell'acquisizione del messaggio evangelico, l'inesistenza del minimo concetto di tolleranza e solidarietà, impediscono, in questo tipo di società, lo sviluppo del pensiero che consenta l'affermazione di valori degni di una coscienza moderna del vivere. La poesia non analizza il fatto, né lo descrive; ma ne segue il tratto finale, attraverso immagini poetiche che hanno una forza descrittiva eccezionale. L'omicidio viene consumato all'improvviso, quando la vittima non pensa minimamente di esserne l'oggetto predestinato. In un atteggiamento istintivo in cui il Sardo trova la sua vera espressione ed il temperamento genuino dell’isolano: mentre canta. E cantando, nel momento religioso, quasi rituale, della vita di un sardo, avviene l’imprevisto ed imprevedibile: una pallottola assassina ferma la melodia, il ritmo e l’armonia sulle sue labbra. Il canto cessa improvvisamente, stroncato sulla bocca in modo irresponsabile ed irreversibile. Ma il poeta non insiste sul dolore, né indugia sulla rassegnazione; non infierisce sull'assassino, non si abbandona a commenti pietistici per la vittima, né in critiche aspre sull'uccisore. La poesia pone certamente quella giovane vita, proditoriamente e barbaramente stroncata da mano assassina, al centro della poesia; che chiude riportandosi al canto iniziale che l'ucciso ha conservato all'interno della sua bocca, quasi a voler significare che quel canto non aspetta la vendetta, ma l'interruzione benefica d’una irresponsabile catena di vendette che allontanano la vita dalla civiltà e la riconducono agli albori della comparsa dell’uomo “della clava, della fionda e delle caverne”. Da quel canto spento improvvisamente sulla bocca del giovane, nasce la poesia di Predu Mura come un invito a riflettere su quell’orrore in modo da impedire sul nascere altri orrori futuri, che ci saranno solo se ci si abbandonerà a quell’apparente rassegnazione, che è foriera di vendette e di altri lutti. La forza delle immagini, la potenza della loro espressione, la grande bellezza, pur nella loro estrema realtà, rimandano certamente a Garcia Lorca: "Chin sa cantone in bucca" “su frore ’e sa morte ispart’in fronte” richiamano i versi del "Llanto por la muerte de Ignazio" del grande poeta andaluso: "Con toda su muerte a cuestas" e “abren con dedos seguros la flor de su calavera”. Anche se si possono notare altri echi poetici che rimandano al Pascoli: "Ocros a chelu", ricorda, anche se con altra forza, il verso del X agosto "Nei suoi occhi restò aperto un grido". Segno questo non di imitazione, ma di inserimento nel contesto europeo del suo tempo. Sembra quasi che questo autore abbia ricuperato secoli di storia letteraria che relegava molti poeti sardi precedenti al mondo dell'arcadia, del quale, anche grandi poeti, col Mossa in testa, non avevano saputo liberarsi completamente. Le bellissime immagini descritte nei versi centrali: "Sos mortores fughios, che umbra mala, los hat bidos su ribu", richiamano all'omertà, di chi ha visto, ma non ha visto. Solo le cose che non parlano sono tristi ed impassibili, oltreché impotenti spettatrici del fatto; e così il povero giovane resta "...solu chin su frittu e chin sa malasorte". Commoventi e di grande delicatezza, contenutistica e formale, i versi in cui il morto racconta, confidandosi con le stelle e con le nubi, il modo con cui lo hanno ucciso. Il racconto ha senz'altro l'andamento delicato della fiaba, lontano mille secoli dal modo brutale in cui è avvenuto, perché lui è caduto senza sapere di morire; è morto senza sapere di aver vissuto. Nessuna reazione che possa accennare a un'imprecazione, bestemmia o maledizione per lo sparatore (o per gli sparatori), per non contaminare nella sua bocca il sapore delicato della canzone che gli addolcisce il palato.
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