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Sandali e orme del pellegrino a Orria Pithinna |
Martedì 27 Gennaio 2015 13:50 |
di Claudio Coda
Seguendo il cammino di visita nella chiesa di Santa Maria in Orria, c'è da soffermarsi, ma non per ultimo, sui segni lapidari, epigrafi e graffiti (questi in circa 70 esemplari). Vere testimonianze presenti sulle murature esterne ed interne. Così ne ho contato, fatte salve per altre. Sono scolpite suconci di calcare e graficamente riferibile, in buona parte, al momento di costruzione dell'edificio.
Iscrizioni in diverse tipologie: segni di utilità, quelli che venivano utilizzati dalle maestranze di cantiere per l'organizzazione dell'apparato murario; segni di cava, per indicare la provenienza dei lapidei; segni di apparecchiatura, per facilitare l'applicazione; segni di posa, come per indicare l'ordine esatto di inserimento nella muratura.
In buona sostanza, ogni concio aveva una sua destinazione precisa. Su uno di questi, ad esempio, è raffigurato un quadrilatero con all'interno un triangolo rettangolo, come per indicare un segno di identità di chi ha realizzato l'arco (?!).
Anche impronte di calzari e orme del pellegrino (circa 7-8) distribuite all'interno e all'esterno, che, nel tempo, i visitatori e di più i pellegrini, incidevano per lasciare tracce del loro passaggio.
La croce del Golgota (collina del Calvario) nel paramento esterno dell'abside. Pentagrammi col simbolo delle cinque piaghe di Cristo, o stella di Betlemme; ma nella posizione in cui è stato graffito, con due punte in alto, alcuni studiosi lo assimilano alla simbologia satanica. Una sta proprio nella lastra della pedana dell'officiante dietro l'altare.
Una spirale che sta ad indicare il Labirinto di Gerico come percorso rituale. Altri ancora a valenza magico-culturale e a carattere magico-propiziatorio. Tutte testimonianze di un tempo passato.
All'interno, nella mensola della cappella a destra, questa: o(pus) p(erfectum) MCCCXXIII, quasi un'indicazione della conclusione dei lavori. Nella mensola opposta, una figura di forma romboidale a doppi nastri intrecciati e inserita all'interno di un rettangolo. Potrebbe trattarsi di prove scultoree. I maestri di cantiere facevano esercitare i giovani lavoranti a scopo didattico. Il nodo, qui rappresentato, nell'iconografia rappresentativa è “l'eterno”, l'unione dell'umano al divino. Nel Cristianesimo è legato alla natura del Cristo che vince il Maligno.
Nella tradizione popolare, questi nodi, anche all'esterno ed interno delle abitazioni, così da allontanare su mal’óju. Oppure come amuleto auguroso -su brève- che mettevano in su bànzigu o nel vestitino del neonato.
Inciso su due conci calcarei -sesto filare a sinistra di facciata- questo titulus, impostato su tre righe, in caratteri gotici:
frat(er) Cenus p(r)ior fecit opus Pet(rus) Cothu magi(s)t(e)r. Forse ad indicare la fine di un intervento diretto dai su màstru de mùru Pedru Cothu.
Custodita nei depositi del Mus'A (Pinacoteca al Canopoleno di Sassari) quest'altra iscrizione: Con(fectio vel secratio?) d(e) pu[---]/ MCCC[.]XXV [---] / fesir(unt) mastro / M(anu vel ich? Vel igu?) elet Eḷ(i)as ọp (erarius?) databile all'anno MCCCXXXV (1335), presumibile riferimento alla consacrazione di un pulpito o di un pozzo ad opera di un maestro Manuel (Michel o Miguel e di un Elias operaius).
Piras, l'epigrafista che ha contribuito alla stesura del testo “Villaggi e Monasteri -Orria Pithinna”- curato da Marco Milanese dell'Università di Sassari- così la interpreta.
Quest'altra: s(epulcrum) s(an)c(t)i Autedi (img 5) è incisa nello stipite della porta (murata) esterna della cappella a destra di facciata- commentata come luogo di sepoltura del santo discendente della famiglia dei patrizi romani Atedius o le sue varianti: At(t)iedus - Ottiedius.
Ancora decorazioni ornamentali: raffigurazioni graffite, piuttosto sommarie, con scene di ballo sardo con due figure femminili che indossano una veste lunga e con le mani sui fianchi; l'altra, una figura maschile con le braccia dietro la schiena.
Per usare un termine più prossimo alla cultura dei luoghi: su bàllu sàrdu.
Firme e date: 1729; Este; [J]aime Siny; Joan Molins (queste ultime due senz'altro di età spagnola del '500 e '600). Non mancano però anche segnacci realizzati da ignoranti imbrattatori.
Certo è che, per visitare Sanya Maria Maddalena, non occorre vestirsi alla Indiana Jones in giacca di pelle e cappello, ma... scortati da una lampada, un buon occhio e, soprattutto, l'interesse sarebbe come osservare, che so io, la tomba di Tutankhamon!
Le foto sono del'autore, che ringraziamo. |
Ultimo aggiornamento Martedì 27 Gennaio 2015 19:28 |