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Quel che resta di Ciano PDF Stampa E-mail
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Domenica 25 Agosto 2013 16:00

di Carlo Patatu

Quando il Maestrale rinfresca e la navigazione verso le isole di Nord-Ovest (Spargi, Budelli, Santa Maria e Razzoli) mi si presenta problematica, di solito volgo la barra del timone della mia “Calipso” verso la costa meridionale di Santo Stefano. Per cercare rifugio a Villamarina.

Di fronte alla costa sarda che va da Palau a Capo d’Orso si apre una baia splendida, a ridosso dei venti dominanti nell’Arcipelago maddalenino, delimitata da scogliere di granito rosato incorniciato da cespugli rigogliosi di lentischio (chessa), ginepro (nibaru), cisto (mudeju), elicriso (brundheddha), alloro (laru) e corbezzolo (melughidone). Con lecci (elighes) che spuntano qua e là. Un angolo di Paradiso Terrestre.

Gettata l’ancora e ultimate le operazioni del caso, in compagnia di figlio, nuora e nipoti mi tuffo nell’acqua cristallina e raggiungo a nuoto la costa. Quindi prendo la stradetta sconnessa che s’inerpica verso la ex cava Serra. Lungo il percorso, scorie di granito, resti di macchinari corrosi dalla ruggine e di quella che, un tempo, fu una strada ferrata, il tutto intervallato da manufatti incompiuti (colonne, statue, conci e altro). A ricordare che quei luoghi ebbero un passato importante. Non solo per l’economia locale.

Una piccolo museo all'aperto di archeologia industriale.

Fra ciò che resta nella ex cava, quattro blocchi di quella che doveva essere la gigantesca statua di Costanzo Ciano (1876-1939), militare blasonato e uomo politico fascista, padre di Galeazzo, che fu ministro degli Esteri nel governo Mussolini, di cui era diventato genero per averne sposato la figlia prediletta Edda.

I blocchi, posti a breve distanza l’uno dall’altro e in parte avvolti dal verde della vegetazione spontanea, rappresentano Costanzo Ciano con la cerata da marinaio, baffoni pronunciati sul volto severo, sguardo rivolto all’orizzonte. Il secondo blocco ne ritrae il busto con le spalle vigorose e le braccia, il terzo il bacino e il quarto gli arti inferiori. A occhio, credo di poter calcolare l’altezza complessiva dell’opera finita in una decina di metri circa.

A differenza delle altre, la seconda parte del busto è appena sbozzata e non ancora completata. Pare che lo scultore abbia appena lasciato il blocco di granito per andare a mangiare un boccone. O bere un sorso di vino ristoratore. Eppure sono passati settant’anni dacché quello scultore, abbandonati scalpelli e mazzuolo, interruppe il proprio lavoro.

Perché mai? E poi, chi era Costanzo Ciano?

Costanzo Ciano, conte di Cortellazzo e di Buccari, è generalmente conosciuto per essere il padre del più noto Galeazzo. Frequentò l’Accademia Navale di Livorno e divenne ufficiale. Ebbe un curricolo di tutto rispetto, avendo partecipato con mansioni importanti al conflitto italo-turco (1911-1912) e ad altre missioni speciali che gli valsero più di un encomio per essersi distinto in azioni importanti sia prima che durante la prima Guerra Mondiale (1915-1918). Fra queste, la famosa ‘Beffa di Buccari’. Gli fu conferita la medaglia d'oro al valore militare.

Finita la guerra, fu collocato a riposo; ma soltanto per intraprendere con successo la carriera politica. Subito dopo la Marcia su Roma (Ottobre 1922) assunse la carica di sottosegretario per la Regia Marina, poi quella di commissario per la Marina Mercantile. Un anno più tardi fu promosso contrammiraglio nella Riserva Navale.

Sotto il fascismo fu pure ministro delle Poste e delle comunicazioni e presidente della Camera dei deputati, poi diventata Camera dei Fasci e delle Corporazioni, fino al 1939, anno della sua morte. Insomma, era persona in vista, che aveva saputo farsi strada.

Dopo la sua scomparsa, si procedette alla costruzione di un grandioso mausoleo; un edificio monumentale che, a Livorno e in località "Monteburrone", avrebbe dovuto ospitare la sua salma e quelle e dei suoi familiari. Qui entrano in scena i quattro blocchi della statua monumentale abbandonati frettolosamente sull'isola di Santo Stefano, nelle cave di granito di Villamarina, commissionata quale coronamento del mausoleo di famiglia, peraltro mai ultimato.

A Livorno i nostro uomo era noto anche per il suo robusto appetito. Aveva una predilezione particolare per l'ottimo e rinomato cacciucco; per questo dai livornesi fu soprannominato "Ganascia".

Ciano riuscì a farsi intitolare, pur essendo ancora in vita, alcune opere pubbliche a Livorno e non solo, sebbene in assenza di merito alcuno per la loro realizzazione. Ma, alla caduta del fascismo (25 Luglio 1943), talune di esse furono ribattezzate con altri nomi. Capita. La statua monumentale di granito, seguendo la stessa sorte, rimase a mezzo, per dirla col Pascoli. Tuttavia essa continua a ricordare il nome dello straordinario e controverso personaggio che avrebbe dovuto rappresentare. E che, in effetti, tuttora rappresenta.

Ma i turisti che s’inerpicano per quella stradetta scoscesa e visitano quella che fu la cava dei Serra, in genere confondono il “Ganascia” col figlio Galeazzo, che morì fucilato per decisione di una corte marziale e per volontà del suocero Benito Mussolini.

Così va il mondo.

 

Gli altri blocchi della statua di Ciano:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


Ultimo aggiornamento Mercoledì 28 Agosto 2013 20:33
 

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