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1888 - Consacrazione della nuova chiesa (I parte) |
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Domenica 02 Dicembre 2012 00:00 |
Cronaca immaginaria di una giornata memorabile vissuta 124 anni fa dalla comunità parrocchiale chiaramontese di Carlo Patatu
Di sicuro quella di Domenica 16 Settembre 1888 è stata una mattinata di sole. Di un sole già autunnale che, volgendo al basso orizzonte, incominciava a tornare un tantino gradevole. Diversamente da quello abbacinante di certe giornate afose dell’estate che andava a morire.
Il paese si era mobilitato da tempo per accogliere degnamente l’arcivescovo Diego Marongio Alla cerimonia, accanto all'ospite illustre, oltre al parroco, hanno presenziato il sindaco Nicolò Franchini con i consiglieri comunali Gavino Vincenzo Franchini, Nicolò Falchi Madau, Battista Falchi Madau, Nicolò Ferralis, avv. Bachisio Madau Ruiu, Antonio Vincenzo Cossu, dott. Giommaria Migaleddu, Salvatore Migaleddu, dott. Francesco Grixoni, Pietro Cossiga, Alberto Carta, Cristoforo Denanni e Giovanni Antonio Montesu. Tutt'intorno, la folla festosa e vociante dei fedeli.
Chiaramonti contava 2.300 abitanti o giù di lì. Per lo più pastori e messajos (agricoltori). Il saldo demografico era ampiamente positivo. Stando ai Quinquelibri[2] della parrocchia, nell’anno 1888 sono stati registrati 69 battesimi contro 53 funerali. Inoltre si sono celebrati 26 matrimoni. Cifre da capogiro, se raffrontate alla miseria dei dati statistici odierni. A dispetto della brutta fama che il paese si era conquistata in materia, nessun morto ammazzato ha funestato il trascorrere di quell'anno. Il 16 Febbraio era scomparso il Lo stesso Falchi annotava nelle sue cronache che, nel medesimo anno, sono comparsi in paese casi di angina difterica e vaiuolo. Inoltre dava notizia della scoperta di una grotta con slattiti e della nomina di suo fratello Francesco a professore presso la facoltà di Medicina dell'Università di Pavia.
Il paese era ancora chiuso nella cerchia antica, adagiato a mo’ di sella fra gli altipiani de Su Monte ‘e Cheja a Nord-Ovest e Codina Rasa a Sud-Est. Sul primo svettava l’antica parrocchiale con la residua torre quadrata del distrutto castello dei Doria a far da campanile. Sul secondo faceva bella mostra di sé il mulino a vento, con tanto di macine ed elica. Il vento non mancava nemmeno allora.
Un villaggio modesto, quindi, intessuto di carrugi ventosi e casupole prive di un qualsiasi servizio; con qualche slargo qua e là, ma nessuna piazza degna di questo nome. E con rare costruzioni di pregio.
Di certo il monsignore ha celebrato la messa col rito solenne. Sa missa in apparàtu[4], con tre celebranti. Non ha mancato di rivolgere ai chiaramontesi, ammassati nella nuova chiesa e sicuramente accaldati, parole di esortazione e conforto, di ammaestramento e speranza. Come d’uso.
L’arcivescovo, che ha trascorso a Chiaramonti quasi una settimana, non soltanto ha visitato il cimitero[5], le altre chiese[6] e i malati; ma, nei giorni 14, 15 e 18 Settembre, ha pure amministrato la cresima a ben 359 fedeli, fra ragazzi e adulti (178 maschi e 181 femmine). L’elenco, redatto in rigoroso ordine alfabetico, risulta vergato sul registro dei cresimati con la grafia minuta e ordinata del vicario Pezzi. E sottoscritto anche dal prelato.
A ricordare quella visita storica resta la bella targa marmorea posta sul lato sinistro dell’abside della chiesa (in cornu evangeli[7]) e scritta in latino.
Ma com’è che si era giunti alla determinazione di edificare una nuova parrocchiale?
È da tenere presente che quella antica era stata costruita nel 16° secolo a Su Monte ‘e Cheja[8], sui ruderi dello storico castello dei Doria, sorto presumibilmente trecento anni prima.
Ma quella chiesa, esposta ai venti impetuosi di Ponente e Maestro, nonché ai fulmini che vi si abbattevano (vi si abbattono) numerosi, già a metà del 1800 si presentava
Per tutte queste ragioni, il parroco e il sindaco insistevano da anni perché si provvedesse a erigere una nuova parrocchiale. Ovviamente ubicata nel centro abitato. E quindi facilmente raggiungibile da tutti. Magari, come si era ipotizzato in un primo momento, ampliando una delle chiese già esistenti. Segnatamente s’oratoriu de Santa Rughe. D’altra parte, la comunità disponeva da tempo delle risorse finanziarie per provvedervi, grazie ai proventi del cosiddetto “legato Tedde”[9].
Ma di questo tratterò più avanti. Mi fermo qui, per ora.
La settimana prossima pubblicherò l’estratto di un lavoro di ricerca dato alle stampe dal Gruppo Giovanile di Chiaramonti[10] nel 1988 e contenuto in un opuscolo che ha visto la luce in occasione della celebrazione del primo centenario della edificazione della nuova parrocchiale, anch’essa dedicata a San Matteo Apostolo.
A presto, dunque!
- 1. Continua. Il prossimo intervento sarà pubblicato Domenica 09.12.2012.
[1]: mons. Diego Marongio (o Marongiu) Delrio, nativo di Banari, professore di diritto canonico all'Università di Sassari (il chiaramontese dott. Giorgio Falchi è stato suo allievo), decano del capitolo sassarese, arcivescovo turritano dal 1871 al 1905. Durante tale periodo ha celebrato un sinodo diocesano (1877) e ha eretto varie parrocchie. È stato pure insignito della dignità di Senatore del Regno. Il suo corpo riposa nella cattedrale di Sassari, in una tomba collocata nel transetto di destra. [2] L’insieme dei registri dei battezzati, cresimati, matrimoni, morti e stato della anime. [3] Anelli di ferro che, assicurati alle facciate delle abitazioni, per legarci le briglie delle bestie da soma. [4] L’officiante vestiva la pianeta ed era assistito da due diaconi ‘a latere’, che indossavano la dalmatica (una veste utilizzata in epoca romana e poi rimasta in uso come paramento liturgico, consistente in una lunga tunica, provvista di ampie maniche e che arriva all'altezza delle ginocchia. [5] Costruito dal Comune nove anni prima, e cioè nel 1879. [6] Su Rosariu, Su Gaiminu, Santu Juanne. [7] Dal lato dell’altare in cui, secondo il rito della messa tridentina, si leggeva il Vangelo. Sul lato opposto, invece, si leggevano le orazioni introduttive alla messa e l’Epistola. [8] Uno dei due altipiani che sovrastano il paese; l’altro è Codina Rasa. [9] Donna Lucia Tedde Delitala (la cui figura sarà illustrata successivamente) nel 1755 lasciò per testamento i propri beni a favore del collegio dei Gesuiti di Ozieri; ma col vincolo di utilizzare parte della somma per edificare una nuova chiesa a Chiaramonti. [10] Il gruppo era composto (in ordine alfabetico) da Uccia Accorrà, Giulia Cossu, Grazia Cossu, Rita Doneddu, Sabrina Melone, Anna Rita Murgia, Lucia Perinu, Cinzia Schintu, Simonetta Schintu, Mirella Sini, Marilena Solinas, Aristide Stincheddu e Prisca Tancredi.
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Ultimo aggiornamento Lunedì 03 Dicembre 2012 12:05 |