Avete mai visitato qualcuno dei comuni etnei? Se no, fatelo. Appena potete. Per quanto mi riguarda, rimpiango di averlo fatto tardi. E cioè appena qualche anno addietro.
Il fascino di quei luoghi, la vegetazione lussureggiante della campagna circostante e il sapore decisamente straordinario della frutta, unitamente alla solarità di chi ci abita e ci lavora mi hanno preso il cuore e l’anima. Tant’è che, quando posso, ci torno volentieri. E, ogni volta, quelle visite mi procurano un’emozione immensa mista a un piacere che non mi riesce di trasmettere, quando ne parlo.
L’Etna, che la gente del luogo chiama confidenzialmente ’A Muntagna, si erge maestoso per oltre tremila metri col suo cono perennemente incappucciato di neve e le immancabili fumarole. Ugualmente candide. Quasi a ricordare, a forestieri e non, che la mitica officina di Vulcano è pur sempre attiva. E che la forgia di quel personaggio, scaturito dalla fantasia fertile degli antichi greci, continua a funzionare. Pure a pieno ritmo, di tanto in tanto.
Bene. Partiti da Catania, infiliamo l’A18 attraverso il casello Nord e procediamo in direzione di Messina. Il percorso lambisce San Gregorio di Catania e attraversa una regione che, dall’interno fino alla costa, è disseminata di piccoli centri (in Sicilia i paesetti hanno, più o meno, diecimila abitanti). Nove dei quali sono accomunati dal prefisso Aci: Acitrezza, Acicastello, Acireale, Acicatena, Aci San Filippo, Aciplatani, Aci Santa Lucia, Acibonaccorsi, Aci Sant’Antonio.
Il motivo di questa particolarità? Prima di leggere Verga, per me Aci era l’acronimo di Automobil Club d’Italia. Poi, studiando “I Malavoglia” e tutto ciò che il romanziere catanese scrisse sulla sua gente e sui paesi della riviera etnea, ho imparato a conoscere quei luoghi. E ad amarli prima ancora di averli visitati.
Una leggenda popolare narra che il corpo del bel pastorello Aci, innamorato della ninfa Galatea, fu ucciso per gelosia dal ciclope Polifemo. E che il suo corpo martoriato si smembrò in nove parti, cadute dove poi sono nati quei nove paesi, ai piedi dell'Etna. Di questa origine mitica i locali vanno molto orgogliosi.
Fin qui la leggenda. Il cui fascino, a dispetto dei tempi moderni e delle tecnologie avanzate, resiste ancora. Tant’è che la onomastica locale è ricca di toponimi che rimandano a quella e ad altre narrazioni della mitologia. E così nel visitatore di quei luoghi non destano stupore le targhe stradali che indicano il lungomare dei Ciclopi, il largo Medusa, il lungomare Galatea, la via del Vulcano, l’isola Lachea e così via. Un popolo ricco di storia come quello siciliano di certo non ha bisogno di ricorrere ai numeri per intitolare le strade.
Ma, tornando al nostro viaggio verso l’Etna, lasciata l’autostrada al casello di Giarre, c’infiliamo in una provinciale, che comincia subito a salire lungo il pendio sudorientale della Muntagna. Di tanto in tanto, una piazzuola o una slargo, dove incontriamo schiere di venditori di frutta e verdura. Gente di campagna che commercia in proprio i prodotti gustosi di una terra incredibilmente generosa. Ciliegie grosse come albicocche, pomodori carnosi e saporiti, insalate e tanti tanti aromi.
Giungiamo così a Zafferana Etnea, città del miele, seicento metri circa di altezza e poco più di novemila abitanti che continuano a sfidare le fumarole e quel che ne può conseguire. Guardando da vicino (si fa per dire) il grande cono del vulcano che svetta solenne ma corrucciato, segnando il cielo col pennacchio a mo’ di banderuola.
Sulla piazza principale della cittadina si affacciano la chiesa della patrona Santa Maria della Provvidenza e l’elegante palazzo del municipio. Le due scalee semicircolari che conducono alla grande terrazza antistante l’edificio fanno da cornice al busto marmoreo di un cittadino zafferanese illustre: il pittore Giuseppe Sciuti (1834-1911). Che, fra l’altro, affrescò la splendida sala del consiglio provinciale di Sassari. E che da lui prese il nome.
Zafferana si raccomanda anche per la produzione artigianale di una gran varietà di dolci di mandorle, nocciole e pistacchi. La gola si lascia tentare e pure la voglia di portare in Sardegna un po’ di quei sapori per me nuovi e molto gradevoli. La giornata grigia e piovosa non permette di esplorare gran che quell’avamposto sull’Etna. Tuttavia possiamo vedere e ammirare quanto basta per decidere di tornarci, un giorno o l’altro. Magari in una giornata col cielo sgombro da nuvole.
Poiché l’ora di pranzo incombe e i nipotini Giovanni e Carla già danno segni d’impazienza per via dei morsi dell’appetito, decidiamo saggiamente d’infilarci in un buon ristorante. In Sicilia si mangia bene e si spende, mediamente, metà che da noi. Scegliamo di tornare ad Acitrezza. A rivisitare un locale che, già nell’anno passato, abbiamo avuto modo di apprezzare. Per la raffinatezza dei sapori, oltre che per l’efficienza del servizio e la modestia del conto.
E allora via giù per il pendio, in un vortice di curve e controcurve che, passando per Santa Venerina e Acireale, ci portano fino ad Acitrezza, coi suoi faraglioni suggestivi e le scogliere antracite di pietra lavica. E il ricordo, in me sempre vivo, dei personaggi verghiani.
|
Con discrezione ho osato. Non saranno solo la gioia di papà Vladimiro e mamma Stefania. Saranno pure la gioia di nonna Tonina e nonno Carlo e non solo chiaramente. A quali foto mi riferisco? Meglio essere più chiari, sa bene, carissimo maestro, che loro sono in crescita e cambiano di giorno in giorno. Ho osato troppo?
Qui Milano inviato speciale Famiglia Patatu saluta tutti con un forte abbraccio.
---
Bene. Ora il messaggio mi giunge chiaro. Ma le foto dei piccoli, come sai, vanno pubblicate se i genitori lo consentono. Pertanto lascio ogni decisione a Vladimiro e Stefania. Com'è giusto che sia.
I consueti saluti affettuosi. (c.p.)
E' importante, magari cambiare, ma andare avanti. Si può dire che mi fa piacere leggere sempre ciò che pubblica nel nostro sito. Ero molto dispiaciuto per la decisione di fermarsi. Oso o non oso. Basta, la decisione è presa: OSO.
Carissimo Maestro, secondo me manca qualche foto, che sicuramente ha scattato. Chissà a quali mi riferisco?
Qui Milano, inviato speciale famiglia Patatu vi saluta con stima simpatia e affetto.
---
Grazie per quel "nostro" riferito al sito. Per il resto, non so a quali foto tu ti riferisca. Chiariscimi meglio il tuo pensiero, dato che hai osato osare.
Saluti sempre affettuosi. (c.p.)