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Personaggi: Bore Cossiga, eroe d'altri tempi |
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Domenica 04 Marzo 2012 01:07 |
di Gerardo Severino e Carlo Patatu
Ad ognuno la risposta che vuole dare, anche se a nostro avviso l’eroismo è più uno stato d’animo che una circostanza della vita. Nel portare avanti la nostra teoria prendiamo ad esempio il caso di Salvatore Cossiga, un finanziere originario di Chiaramonti che servì tra le Fiamme Gialle con grandissima determinazione, assolvendo, come approfondiremo a breve, il proprio compito di tutore dell’ordine con onestà e rispetto delle regole, meritando progressioni di carriera, ma soprattutto rispetto e stima da parte dei superiori e dell’opinione pubblica. Salvatore, detto “Bore”, era membro della storica famiglia dei Cossiga, trapiantata a Chiaramonti verso i primi del Settecento (pare proveniente dalla Corsica) e di cui sono stati tracciati ampi profili genealogici, essendo infatti la stessa famiglia alla quale apparteneva il Presidente emerito della Repubblica Italiana, il compianto Senatore Francesco Cossiga. Il nostro protagonista nacque, infatti, a Chiaramonti il 16 maggio 1870, figlio di Giovanni e di Antonica Manca. Dalle mani del vice parroco don Satta ricevette il battesimo il giorno successivo nell’antica chiesa parrocchiale di Su Monte ‘e Cheja (1). Gli fecero da padrini lo zio paterno Salvatore Cossiga con la figlia Giorgia. I genitori del Cossiga erano gente di campagna. Allevavano bestiame lavorando sodo su terre in parte di proprietà, col centro aziendale prima in regione Santa Caderina (2) (a Est del paese e poco distante); poi a Matta ‘e Suelzu (3), a qualche centinaio di metri dalla periferia Sud dell’abitato. Subito dopo il cimitero. La casa colonica era stata costruita all’interno di una grotta enorme. Vi furono ricavati diversi ambienti che, in luogo della volta, avevano una robusta copertura di roccia calcarea bianca. Quella casa è ancora abitata e assolve le medesime funzioni di allora. All’età di otto anni ricevette la cresima in occasione di una visita pastorale fatta dall’arcivescovo di Sassari monsignor Diego Marongiu Delrio. I suoi genitori gli scelsero per padrino il nobile dott. don Francesco Grixoni, allora medico condotto di Chiaramonti. Il paese contava poco meno di 1750 abitanti. Più o meno, quanti ne conta ora (1748). Il nucleo abitato era limitato a quello che oggi definiamo “centro storico”. Poche case, quindi. In genere basse e di architettura modesta. Con un solo piano fuori terra, fatta eccezione per le cosiddette abitazioni dei signori.
I Cossiga avevano, infatti, anche casa in paese, ubicata in quella che oggi è la via Marco Polo. Quell’edificio era più noto, fino a qualche lustro addietro, come Su Salone (4). Ora, opportunamente ristrutturato, l’edificio è abitato dalla pronipote del ramo materno Giuseppa Murgia Cossiga nota Peppa. Frequentò la scuola elementare a Chiaramonti, allogata a quel tempo in locali di fortuna sparpagliati per l’abitato. Dalla seconda metà degli anni Settanta dell’Ottocento in poi, la scuola ebbe a disposizione un paio di locali, umidi e malsani, posti al piano terra della Casa comunale. Probabilmente il Cossiga sedette sui banchi in una di quelle aule fredde, semibuie, sovraffollate e, stando alle cronache scolastiche del tempo, maleodoranti. Non abbiamo notizie circa il suo profitto. Ma, ragionando col senno del poi e avuto riguardo alla sua passione per la lettura e la scrittura, il nostro dev’essere stato uno scolaro diligente e bravo. Nipote del dottore Salvatore Cossiga, che nel 1856 era stato insignito dal Re di Sardegna della Menzione Ciò nonostante, Salvatore Cossiga desiderava ardentemente il vestire l’uniforme militare. Per tale ragione decise di arruolarsi nella Regia Guardia di Finanza, Corpo nel quale militavano molti suoi coetanei ed amici. Ammesso tra le Fiamme Gialle il 4 novembre 1897, Salvatore fu destinato alla frequenza del corso di addestramento presso l’allora Deposito Allievi di Genova, ove rimase per circa sei mesi. Promosso al grado di guardia, Salvatore Cossiga fu temporaneamente destinato presso il Circolo di Ravenna nel giugno del 1898. Il 1° settembre successivo, il milite fu quindi trasferito presso il Circolo di Menaggio, sul lago di Como, assegnato ad una delle numerose Brigate operanti lungo la delicatissima frontiera che separava l’Italia dalla Svizzera.
Dopo due anni trascorsi al confine elvetico, il 1° dicembre del 1900 Salvatore Cossiga fu trasferito nella Valle d’Aosta, regione ove rimarrà diversi anni, girando per le diverse Brigate e Distaccamenti d’alta montagna. Il 18 luglio del 1906, Salvatore ottenne la promozione a Sottufficiale, avendo superato il relativo concorso interno. Con i galloni da Sotto Brigadiere, il chiaromontese lasciò il Piccolo San Bernardo per raggiungere il Circolo di Como, ove fu posto al comando di una Brigata di frontiera. Durante tale periodo, Salvatore Cossiga ricevette numerosi premi in denaro per altrettante operazioni di servizio a contrasto del contrabbando di frontiera, in virtù delle quali pervenne al sequestro di ingenti quantitativi di tabacco lavorato ed in foglia, ovvero di altri generi. “La mattina del giorno anzidetto alle ore 2.20 il sottobrigadiere Cossiga Salvatore, da solo affrontava sei contrabbandieri sull’alta Valle del Merlo, (sotto Monte Bisbino), inseguendoli accanitamente e costringendoli ad abbandonare le cariche. La guardia Ventura Innocenzo, che si trovava in altro punto circa 200 metri più distante, in un luogo indicatogli dal detto sottobrigadiere, giacché si era iniziato un servizio in catena per chiudere i passi più importanti, sentito il segnale d’attacco intervenne per prendere parte anch’egli all’inseguimento; ma i contrabbandieri già si erano dati a precipitosa fuga nel sottostante bosco onde non fu possibile raggiungerli. Tornati gli agenti sul luogo dell’attacco, trovarono i sei colli che furono trasportati al Magazzino delle Privative in Como, dove si constatò che contenevano tabacco lavorato, sigari virginia e toscani del peso di 175 kg.. Una parola di vivissimo elogio al Sotto Brigadiere Cossiga, il cui ardimento e la cui intrepidezza condussero a sì bel risultato è più che meritata, come è degna d’encomio la pronta azione della guardia Ventura”. A Cernobbio, tuttavia, Salvatore rimase pochi mesi, in quanto a metà dicembre dello stesso anno dovette raggiungere la Brigata di frontiera di Colombirolino. Da quel momento in poi, per il sottufficiale sardo ebbe inizio un vero e proprio calvario, dovuto ai frequentissimi trasferimenti ai quali venivano allora sottoposti sia i graduati che la truppa, temendo, i superiori del Corpo, possibili compromissioni con la gente del posto, ivi comprese relazioni sentimentali. E forse proprio per tale ragione che Salvatore non prese moglie, almeno sino a quando restò tra le Fiamme Gialle. Dopo un anno, infatti, Salvatore lasciò Colombirolino alla volta di Bugone, località prossima alla vetta del Monte Bisbino, ove trascorrerà un ulteriore anno di vita, prima di raggiungere la nuova sede di Breno, nei pressi di Edolo. Nel novembre 1911 fu la volta della Compagnia di Salò, ove il sottufficiale presterà lungamente servizio, alternando la sua presenza presso varie Brigate di frontiera, quali Emo, Desenzano e Desio. In tale ambito, molto importante fu il suo ruolo di guida ai reparti militari lungo la linea di confine, prestato in favore del Comando del III Corpo d’Armata, il quale, nell’agosto del 1912, lo ricompenserà con la concessione di un encomio “Per lo zelo spiegato nel far di guida allo stesso in giro di ricognizione al confine”. Promosso Brigadiere il 1° luglio 1913, Salvatore Cossiga fu destinato a frequentare, presso il Corpo degli Alpini, il corso d’istruzione per “salmerie” (complesso dei carri e dei quadrupedi usati negli eserciti per il trasporto di bagagli, armi, munizioni e viveri), riportando la classificazione di “ottimo”. Di li a qualche anno verrà mobilitato, con lo scoppio della 1a guerra mondiale, unitamente a tutto il personale delle Compagnie di Edolo e Salò, ove lui di volta in volta risulta destinato, messo a disposizione dell’autorità militare per i servizi di copertura della frontiera alpestre. Nonostante la mobilitazione, il sottufficiale di Finanza non trascurò affatto i compiti di servizio a tutela dell’Erario, come dimostra l’episodio che stiamo per narrare. La notte fra il 13 ed il 14 settembre 1913, mentre eseguiva in compagnia della guardia Michele Bianchi un servizio di perlustrazione ed appostamento a Monte Croce di Perle (1032 metri), una località della Valsabbia dalla quale si domina il lago d’Idro, il Brigadiere Cossiga sostenne una viva colluttazione con un contrabbandiere, in seguito alla quale riportava contusioni ed escoriazioni in più parti del corpo. Ciò nonostante, il sottufficiale pervenne al sequestro di circa 40 chilogrammi di tabacco estero, meritando per questo un encomio da parte del Comandante della Legione di Milano. Ma il nostro protagonista seppe distinguersi anche in altri campi, grazie al coraggio dimostrato in occasione dell’incendio scoppiato nella notte fra l’8 ed il 9 maggio 1916 a Desio, in provincia di Brescia, allorquando si prodigò con tutte le proprie forze, riportando ferite al capo ed in altre parti del corpo, oltre ad una distorsione al ginocchio destro. Nell’aprile del 1917, l’ormai Maresciallo ordinario Cossiga fu posto al comando della Brigata di confine di Gargnano (Lago di Garda), reparto che resse sino all’aprile dell’anno seguente, allorquando fu destinato al comando della Brigata “volante” di Iseo, in provincia di Brescia, ove rimase per circa due anni. Al termine del conflitto gli verranno riconosciute le campagne di guerra per l’intero ciclo operativo 1915 – 1918, oltre alla Croce al Merito di Guerra e la promozione a Maresciallo Capo, intervenuta il 1° novembre 1919. Con la nuova promozione, il 24 gennaio 1920, Salvatore Cossiga dovette raggiungere la Legione di Trento, destinato a comandare la Brigata “volante” di quella stessa città. E fu proprio a Trento che il Maresciallo Cossiga dovette dire addio alle sue amate Fiamme Gialle, essendo stato collocato a riposo per raggiunti limiti d’età. Dismessa l’uniforme il 16 novembre dello stesso 1920, dopo essere stato trattenuto in servizio per ulteriori cinque mesi al compimento del cinquantesimo anno di vita, l’ormai sardo fece rientro nella sua isola, stabilendosi nella stessa Chiaramonti. Rientrato definitivamente in paese ed essendo rimasto scapolo, si sistemò nella citata casa paterna. Successivamente andò a vivere presso la famiglia della nipote Giovanna Battista Cossiga, sposatasi con Gavino Murgia. Qui trascorse il resto della propria esistenza insieme al fratello Francesco noto Chiccu (vedovo di Francesca Mureddu) e ai quattro pronipoti, figli dei citati Giovanna Battista e Gavino Murgia: Giacomo noto Inzamu, Luigia nota Gigia, Paolo noto Pauleddu e Giuseppa nota Peppa. Avendo conservato l’originario carattere severo e autoritario, rafforzatosi ulteriormente nel corso dell’esperienza militare, li comandava a bacchetta e non amava essere contraddetto o disubbidito. Ciononostante, quei nipoti ebbero per lui, e conservano tuttora, molto affetto, tanta stima e una riconoscenza infinita. Anche grazie a lui, quella famiglia ebbe modo di frequentare e ospitare personaggi politici di caratura notevole. Segnatamente di marca democristiana. Oltre che per le ascendenze parentali col ramo dei Cossiga che dette i natali a quel Francesco che, ancor giovanissimo, fu deputato al Parlamento, quindi Sottosegretario, Ministro a metà degli anni Settanta, Presidente del Consiglio, Presidente del Senato e, infine, Capo dello Stato. Bore Cossiga teneva in tanta considerazione i parenti. Tutti i parenti. Tant’è che era buon amico del cugino Peppino Cossiga, padre del presidente Francesco e pezzo grosso di una banca a Sassari. Avendo occasione sovente di recarsi in città, non mancava di andarlo a trovare e d’intrattenersi con lui cordialmente e a lungo. Tali visite erano peraltro ricambiate. Successivamente, quella consuetudine fu mantenuta viva nel tempo dallo stesso Francesco, il quale ebbe nella famiglia di “zio Gavino e zia Giovanna Battista”, come li chiamava lui, un sostegno sempre convinto in occasione di ogni appuntamento elettorale. Tant’è vero che quando fu nominato Ministro per la prima volta (1974), come pure quando fu eletto Presidente della Repubblica (1985), venne a Chiaramonti a salutare, oltre che i parenti, il Consiglio comunale. Che, il 7 Dicembre 2001, gli conferì la cittadinanza onoraria. Rientrando a Chiaramonti da Sassari, ricorda la nipote Peppa, “zio Bore” era solito portare in dono ai nipoti caramelle e “paste di crema”. Tutta roba allora sconosciuta in paese e che quei ragazzi, manco a dirlo, mostravano di gradire molto. Tant’è che andavano sempre ad attenderlo all’arrivo della corriera sgangherata che collegava il paese col capoluogo di provincia. Una volta collocato a riposo, Salvatore Cossiga riprese a coltivare l’antica passione per la campagna. Possedeva un vigneto-frutteto in regione Santu Juanne (5). Vi aveva fatto edificare una casetta con un unico locale. Ci dormiva, talvolta. Specie in autunno. Per sventare gli abituali furti di frutta e, segnatamente, dei fichi che soleva mettere al sole allineati su un canniccio capace. Per fare sa cariga (6). In quella casetta riceveva spesso le visite degli amici, che andavano a trovarlo per trascorrervi qualche ora a chiacchierare e a sentire da lui racconti delle trascorse esperienze in Continente, durante il servizio prestato con la Fiamme Gialle. In guerra e non. Li intratteneva pure offrendogli un bicchiere del buon vino che produceva e curava personalmente con le uve “di scuola” del piccolo vigneto. Ora su quel fazzoletto di terra sorgono case e case, costruite soprattutto dai messajos (7) negli anni Cinquanta. Quando cioè i proventi derivanti da s’incunza (8) furono notevoli a seguito del prezzo del grano, all’epoca molto vantaggioso, e di alcune annate particolarmente favorevoli per piovosità e clima. Quel vigneto-frutteto, un vero e proprio giardino, beneficiò delle sue cure fino a quando il Cossiga godette buona salute. Ci andava pressoché tutti i giorni percorrendo, ovviamente a piedi, la poche centinaia di metri che lo separavano dall’abitazione in paese. Nella circostanza, vestiva una giacca di fustagno, i pantaloni a sbuffo, alla cavallerizza, e, in luogo degli stivali, le fasce dal ginocchio in giù. Vecchio retaggio dell’uniforme militare. Si calcava sulla testa un bonette (9) con visiera, copricapo usuale per la gente di campagna. Lo accompagnava l’immancabile bastone. Che aveva una funzione decorativa più che di sostegno. Gli conferiva un certo tono e molta autorevolezza. Di bastoni ne aveva più d’uno. Tutti eleganti e di buona fattura. Li utilizzava a seconda delle circostanze, scegliendoli di volta in volta con cura maniacale. Uno di questi, con l’impugnatura a testa di cane che, al comando, apre e chiude la bocca come per abbaiare, è tuttora conservato come una reliquia dalla pronipote Peppa Murgia. Aveva una grande passione per la lettura. Nella sua stanza aveva allestito una spaziosa scrivania affiancando due tavoli. Sui quali stavano bene allineati libri, giornali, manoscritti, quaderni di appunti, un paio di calamai d’inchiostro e una bella serie di penne con pennino intercambiabile. Vi teneva pure ben disposte alcune pipe, le sue tabacchiere e altri oggetti, che destavano la curiosità dei giovani nipoti. Ai quali aveva intimato di non toccare alcunché. Ordine peraltro più volte trasgredito, con conseguenti sfuriate seguite da inevitabili punizioni. Che quei ragazzi affezionati gli perdonavano volentieri. Anche per via delle caramelle e delle paste che portava a casa in occasione delle trasferte sassaresi. Ma pure perché “zio Bore” era la Befana di casa. In un’epoca in cui quella figura qui era pressoché sconosciuta, si dilettava a interpretarla confezionando, per la gioia dei cari nipoti, tanti pacchetti contenenti frutta secca, qualche caramella e poche arance. In paese, Bore Cossiga fu molto attivo, partecipando con impegno ed entusiasmo alla vita sociale, politica e religiosa di Chiaramonti. Camicia nera della prima ora, fu segretario politico del Fascio locale. La carica, com’era ovvio, gli dava prestigio e quel tanto di potere che, a quel tempo, non mancava d’incutere un certo timore reverenziale verso chi riceveva, direttamente da Roma per poi girarlo alla comunità, il verbo del Duce. Partecipava puntualmente a tutte le cerimonie che vedevano schierati in piazza, allineati e coperti, “Figli della lupa”, “Balilla”, “Avanguardisti”, “Camicie nere”, “Giovani italiane” e “Massaie rurali”. Con costoro organizzava parate e saggi ginnici che si preparavano solitamente nelle adunate settimanali del “Sabato fascista”. Fu per anni segretario della sezione locale dell’Associazione Nazionale Combattenti e reduci. Faceva opera di proselitismo e contribuiva a tenere alti i sentimenti legati alle idee di Patria, Onore, Dovere, Giustizia. In questa veste provvide per anni a organizzare e a presiedere la consueta cerimonia del 4 Novembre davanti al monumento ai Caduti, eretto nel 1927 (anno V dell’Era fascista, si legge ancora sulla lapide) all’interno del Parco della Rimembranza, oggi Giardino pubblico. Sovente era lui a leggere l’appello dei Caduti in guerra e a pronunciare il discorso ufficiale. Nell’occasione, come pure ogniqualvolta partecipava a riunioni o manifestazioni di un certo livello, indossava abiti eleganti, “da città”, e usava il borsalino in luogo del più contadinesco bonette. Più volte ebbe modo di promuovere viaggi e gite sociali, in Sardegna e in Continente, a favore dei soci. Che, potendoselo permettere, non mancavano di seguirlo. Era un leader. Fu pure presidente degli “Uomini di Azione Cattolica” di Chiaramonti. Per molti anni fece parte del comitato che sovrintendeva alla revisione dei libri contabili della parrocchia. Non mancando di brontolare per il fatto che il parroco continuava a richiedergli con insistenza di apporre frettolosamente una firma in calce alla chiusura della contabilità già bell’e fatta. Leggeva regolarmente su fogliu (10), acquistando “L’Isola”, quotidiano che si stampava a Sassari. Per un certo periodo, fu anche corrispondente di quel quotidiano, oggi non più in edicola. Ovviamente, era abbonato a “Il Finanziere - giornale della Regia Guardia di Finanza”. Lo leggeva per intero e ne custodiva gelosamente la collezione. Qualche numero è conservato tuttora dalla più volte citata Peppa Murgia. Si ammalò di cancro. Dopo essersi sottoposto a un esame diagnostico particolare, consapevole della propria sorte, si preparò con coraggio e rassegnazione alle sofferenze che lo aspettavano e che dovette inevitabilmente subire. La malattia ebbe un decorso lungo e doloroso. Circondato dall’affetto del fratello Francesco noto Chiccu, dei nipoti Giovanna Battista, Giorgia, Leonarda e Giovanni Cossiga, oltre che dei numerosi pronipoti, morì nel 1951, all’età di 81 anni. È sepolto nel cimitero di Chiaramonti nella tomba di famiglia.
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1 L’antica chiesa parrocchiale, intitolata a San Matteo apostolo ed evangelista patrono di Chiaramonti, è stata officiata fino a metà degli anni Ottanta dell’Ottocento. Collocata in posizione dominante e pertanto esposta a venti, intemperie e fulmini, era stata edificata nel XVI secolo sui ruderi di un antico castello, fatto edificare intorno al 1200 dalla potente famiglia genovese dei Doria. L’ubicazione e l’esposizione ai quattro venti ne avevano accelerato il degrado, per cui si pensò di sostituirla con un altro edificio di culto da realizzare nel centro abitato. Il che fu possibile fare grazie al lascito di una nobildonna di Nulvi, donna Lucia Tedde Delitala. Che, per i propri loschi affari, aveva fruito largamente dei servigi del celebre bandito chiaramontese Giovanni Fais (1708-1783). La nuova chiesa, ugualmente intitolata a San Matteo, fu consacrata dall’arcivescovo di Sassari mons. Diego Marongio Delrio, con una cerimonia solenne di cui resta traccia in una lapide marmorea, il 18 Settembre 1888. All’epoca era parroco il frate carmelitano Stefano Maria Pezzi, originario di Alghero.
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Ultimo aggiornamento Sabato 17 Marzo 2012 20:39 |