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La Tribuna: Santa Giusta, la pioggia e i chiaramontesi devoti PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 23 Giugno 2010 23:18

di Carlo Patatu

Dunque, la festa di Santa Giusta, quest'anno, è stata celebrata in due fasi distinte. Il maltempo si è messo di traverso e ha vanificato, in parte, il lavoro portato avanti per mesi dal comitato organizzatore, composto in prevalenza da giovani. Ragazzi che ce l'hanno messa tutta e che, sia pure a malincuore, all'ultim'ora hanno dovuto rinviare ad altra data lo svolgimento dei cosiddetti "festeggiamenti civili".

 

La cerimonia religiosa ha avuto luogo alla scadenza prevista. Processione compresa. Pioggia e vento non possono (non devono) bloccare la liturgia. Che ha un proprio calendario. Rigido. Inderogabile. Don Virgilio ha celebrato ugualmente la messa, come da programma, e ha presieduto la processione col consueto corteo di autovetture. Sottolineo che la santa, negli anni Ottanta del Novecento, è stata eletta patrona degli automobilisti chiaramontesi.

Ma... c'è un ma.

Messa e processione si sono svolte quasi in sordina. Fra pochi intimi. E cioè nella pressoché totale indifferenza dei cosiddetti devoti. La chiesa non affollata e un corteo di macchine ridotto all'osso sono stati le cartine di tornasole circa l'attaccamento che (così dicono) i chiaramontesi avrebbero per Santa Giusta.

Quand'ero piccolo e servivo messa come chierichetto al parroco dott. Dedola, a Santa Giusta ci andavo a piedi. Come tutti, del resto. Pochi potevano permettersi il lusso di andarci a cavallo. Magari brandendo con vigore una delle gigantesche e storiche bandelas abbondantemente infiocchettate. E avendo cura, all'arrivo e alla ripartenza, d'inchinarla di fronte alla chiesa per tre volte. In segno di deferenza e devozione per il simulacro della santa.

Il pellegrinaggio a piedi (10 chilometri circa fra andata e ritorno) non mi pesava più di tanto. Partendo dal paese, mi dirigevo per Caminu 'e Cunventu e, oltrepassato il cimitero, percorrevo il viottolo verso Monte Ozastru. Giunto a Sa Punta 'e Edras, giù a capofitto per un sentiero impervio. Una specie di tunnel verde, con rovi, querce e lentischi secolari che, quasi per intero, lo nascondevano al sole. Il quale ricompariva soltanto nei pressi di Nicu.

Guadato il torrentello, m’inoltravo nella carrareccia rocciosa (ora asfaltata) che, in leggera pendenza, conduceva a Piluchi. Qui mi si apriva (si apre) alla vista l'intera vallata di Santa Maria de Orria Pitzinna, con Monte Culumba, Monte Ledda e Sos Renalzos a farle da cornice. Ma non c'era tempo (né voglia, allora) per fermarsi ad ammirare il panorama. L'ora incombente e il sudore non iconcedevano soste.

Ancora una discesa di poche centinaia di metri. Superati due tornanti, attraversavo il ponticello in legno, instabile, sospeso sul rio Iscanneddu. Da qui la carrareccia risaliva fino a fiancheggiare la stupenda chiesetta medievale di Orria Pitzinna, più nota ai chiaramontesi come Santa Maria Maddalena. Dopo di che, procedevo in piano fino all’altra estremità della vallata. Un po’ di salita ed ecco la chiesa di Santa Giusta. Incastonata nel verde, incorniciata da pioppi, acacie, olmi e ciliegi. Tanti ciliegi. Che ora non ci sono più.

L’edificio non è bello, di per sé. Ma tale allora mi appariva perché il nome della santa mi evocava miracoli strabilianti (adesso non più), giornate stupende trascorse all'aperto, spuntini festosi consumati sui prati, ore e ore di allegria sull'altalena allestita fra gli alberi del piazzale e l'immancabile ballu tundu. Che richiamava, sempre sul sagrato, gruppi di giovani balentes e ragazze formose. Ammaliati dalle note irresistibili di una fisarmonica e del tutto indifferenti agli anatemi espressi con vigore e rabbia da quel parroco. Anziano e conservatore.

Da adolescente, partecipavo anche alle novene, con l’impegno a recarmi (sempre a piedi) in quella chiesa per nove giorni consecutivi. Niente interruzioni, pena la ripresa della conta da capo. Giunto in chiesa, la recita del rosario, il canto dei gosos e un rapido spuntino. Quindi il rientro in paese. Ma la mia presenza a quelle novene, più che dalla devozione per la santa, era ispirata dal sorriso accattivante di una ragazzina (ora felicemente sposata con... un altro) che mi aveva stregato il cuore. E così, fra l'andata e il ritorno, c'era tempo sufficiente per stare un po' insieme, guardarci negli occhi e ammiccare qualche sorriso malizioso. Niente di più. Ma tanto bastava.

Ricordo anche i tempi in cui si portava il simulacro di Santa Giusta fino in paese, per impetrare la pioggia che tardava a cadere. Vi partecipava chi poteva sobbarcarsi la fatica di fare tutta quella strada col cavallo di San Francesco. Andata e ritorno. Pregando a voce alta per tutto il tempo. Ovviamente, l’acqua cadeva quando doveva. A dispetto delle preghiere di chi ne pretendeva l'arrivo illico et immediate (lì e subito). Tant'è che, esasperati dal mancato arrivo della pioggia nonostante l'autunno inoltrato e delusi da una presunta negligenza in materia di Santa Giusta, quegli stessi fedeli che ne avevano portato trionfalmente il simulacro  in paese orando e cantando, si defilavano quando si trattava di riportarlo a casa; e cioè nella chiesa campestre. La statua, talvolta, se ne stava forzatamente in parrocchia per qualche mese. Così andava (e va tuttora) il mondo.

Tutto questo, per dire che la cosiddetta "devozione" può essere un po' come la "donna dello schermo" di Dante. E cioè un falso scopo. Il che può spiegare il flop della festa religiosa di quest'anno, in assenza del concomitante pranzo, gratuito e all'aperto, previsto dal programma dei festeggiamenti. Con un menu più che allettante: ciciones cun ghisadu, bollito di pecora con patate, cipolle lesse, pane, vino e quant'altro.

Se è vero che tutti i salmi finiscono in gloria, è altrettanto vero che ogni festa si conclude a tavola. Se no, che festa è? Appunto.

Ecco, il commento di Claudio Coda, apparso su questo sito qualche giorno fa, mi ha sollecitato una riflessione e qualche ricordo. Che non pretendo siano condivisi. Anzi sono sicuro del contrario. Ma, abbiate pazienza: sono fatto così.

Ciao!

 

 
Commenti (1)
Voto... disgiunto
1 Sabato 03 Luglio 2010 23:40
c.c.
Voto disgiunto non solo in cabina elettorale, ma anche nella dichiarazione di fede. Panem et circenses per i romani, diversa da: festa, farina e forca per la Napoli borbonica. D'altronde, anche Gesù non disdiceva partecipare a banchetti e incontri conviviali; solo che noi ora, abbiamo separato il bisogno del corpo da quello dell’anima. Pecora bollita con aggiunte varie.


A proposito! Santa Giusta non so, ma Gesù non era vegetariano? La prossima festa si potrebbe organizzare con menu a base di verdure grigliate o cotte al vapore, condite con olio extravergine e aceto balsamico. Chissà che bontà e quante adesioni sin da ora potrebbero pervenire, aumentando sensibilmente le presenze dei sassaresi magna gaula. Sono alquanto fiducioso!


Alla prossima. Claudio

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